QUANDO RICHTER DISTRUSSE IL SUO RITRATTO DI HITLER

Gerhard Richter, Köln - Courtesy Gerhard- Richter-Archiv Dresden
Gerhard Richter, Köln - Courtesy Gerhard- Richter-Archiv Dresden

Nel suo catalogo generale si dice che siano circa 60. Sono le opere che Gerhard Richter ha deciso di distruggere e delle quali si ha un qualche tipo di documentazione. Molte sono degli anni Sessanta, quando da artista semisconosciuto proponeva nelle gallerie tedesche i suoi Foto-Bilder. Come capita ai pittori, non soddisfatto del risultato, prendeva un taglierino e distruggeva la tela. A volte le opere venivano bruciate con altro materiale di scarto. Ma dagli archivi sono emerse una serie di immagini di questi quadri e una in particolare, il ritratto di Hitler (ne parlava qualche mese fa lo Spiegel). Ora, che il nazismo sia uno dei grandi temi dei Foto-Bilder degli anni Sessanta non è un mistero. Richter ritrae lo zio in uniforme della Wehrmacht e fa il ritratto della zia uccisa dal programma nazista di eutanasia per i malati mentali. È forse il primo artista a rompere il tabù che in quegli anni copriva il ricordo dei recenti fatti storici. Mostra come in una normale famiglia tedesca potesse esserci la vittima e il carnefice. Quella di Richter è una poetica anti-ideologica e anti retorica che segna tutta la sua carriera. Si capisce allora come sia possibile che nel 1962 gli sia venuta l’idea di ritrarre proprio lui, Adolf Hitler. Un’immagine che all’epoca deve essere apparsa fortissima, trasgressiva e provocatoria. Nessuno prima di lui aveva osato tanto. Eppure quell’immagine è andata perduta (meglio: l’archivio online usa l’espressione “Gilt als zerstört”, probabilmente distrutta). Perché? Oggi Richter a proposito di quel quadro dice che quel tema e quel ritratto gli apparivano troppo “spettacolari”. Era quindi un quadro non riuscito. Non riuscito perché troppo retorico, troppo massimalista. Troppo retorico, appunto. Sul tema non tornò più anche se anni dopo il volto del Furher si fa spazio nella sua immaginazione, come testimoniano i fogli 131 e 132 del suo Atlas.

Gerhard Richter, Atlas 131, 1969
Gerhard Richter, Atlas 131, 1969
Gerhard Richter, Atlas 132, 1969
Gerhard Richter, Atlas 132, 1969

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