LA CONTADINA CHE RESUSCITÒ JOSEPH BEUYS

Ho letto la biografia di Joseph Beuys di Heiner Stachelhaus pubblicata l’anno scorso da Johan & Levi. Non è un libro straordinario, ma ha il pregio di restituire un’idea complessiva delle vicende del grande artista in modo lineare e (come direbbe Maurizio Milani) completo. Diciamo che è un buon punto di partenza. A maggio è uscita anche la nuova biografia di Hans-Peter Riegel, anticipata dalla stampa tedesca come rivelatrice di magagne sconosciute nel passato di B. (tipo mecenati nazisti e balle raccontate sul suo mitologico passato). Purtroppo è in tedesco e, al meno io, dovrò attendere che qualcuno la pubblichi nella lingua del . Se la sensazione è che Stachelhaus abbia sfiorato l’agiografia, è più che probabile che Riegel abbia ecceduto in senso opposto. Essendo quello su Beuys un vero e proprio culto, è naturale che vi siano i relativi sacerdoti ed eretici…

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La pagina più bella del libro di Stachelhaus è quella dedicata alla testimonianza della madre dei fratelli van der Grinten sul periodo della depressione di Beuys. I fratelli van der Grinten erano figli di contadini e avevano una fattoria a Kranenburg, vicino a Kleve. Hans e Franz Joseph conoscono B. nel 1946 e nel 1951 decidono di diventare i suoi primi collezionisti. Fatto stà che dal 1954 B. cade in una profonda depressione. Viene ricoverato senza esiti, molti amici cercano di aiutarlo. Un giorno Franz Joseph chiede alla madre se possono ospitare B. per qualche tempo. La madre accetta non senza qualche esitazione. Dice: ho appena perso mio marito, non sono sicura di poter aiutare qualcun altro. Ecco come in un’intervista del 1971 la donna racconterà quella vicenda. Un saggio di pragmatismo contadino, che riesce ad attraversare il tormento di un uomo cogliendone il vero snodo esistenziale. Per la serie: scarpe grosse, cervello fino.

«Parlavamo di guerra, di arte, di politica, di paesi stranieri, di fiori… Beuys si intendeva di tutto. Nell’ultimo periodo lavorare non gli dava più soddisfazione, restata a letto tutto il giorno, fumava e si rifiutava di mangiare. Una volta Franz Joseph è tornato a casa per il fine settimana, come sempre, e mi ha detto: “Hai una brutta cera. Se va avanti così, sarai tu ad ammalarti anziché lui a guarire”. Gli ho raccontato come stavano le cose, che non riuscivo ad accettare che lui se la prendesse con se stesso, a allora Franz Jospeh ha detto: “Bene, se è così deve andarsene, abbiamo fatto abbastanza per lui”.
L’ho detto a Beuys. E il mattino seguente, ormai pronto a partire con i bagagli già fatti, è venuto da me, mi ha ringraziato e ha detto: “Signora van der Grinten, mi ha fatto molto piacere stare con lei, me ne vado a malincuore”. “Ci credo” gli ho risposto “ma per come sono stati gli ultimi giorni, io non ce la faccio. Non posso restare a guardarla mentre se la prende con se stesso e contro il Signore senza sentire ragioni”. Sì, rispose, era convinto che il Signore lo avesse abbandonato. “Invece” gli ho detto io “sono sicura che il Signore è con lei. Le ha dato il talento e le ha messo l’arte nel cuore. E se lei promette a sua madre di tornare a casa e poi passa tutto il tempo a vegetare non pensa che sua madre ci resti male? È una cosa che disapprovo, non riesco a sopportarlo. Non penserà mica che la mia vita sia stata tutta rose e fiori! Anch’io ho avuto molte preoccupazioni e difficoltà, oltre a dover lavorare sodo. Quando mio marito è morto in un incidente, un’ora dopo ho dovuto mungere le mucche e dare da mangiare ai maiali lo stesso, perché il dovere è dovere e non si può aspettare, deve farci i conti anche lei. Un uomo deve avere il senso del dovere. Se lei lavora su questo, tutto il resto viene da sé”.
Ha ascoltato in silenzio. Non gliel’ho detto in modo duro o severo, perché era simpatico e volevo davvero aiutarlo, e lui ha capito. Mi ha chiesto se poteva tornare. Gli ho detto che poteva venire tutte le volte che voleva. Poi è partito e due giorni dopo è passato per una breve visita. Così l’amicizia è rimasta e lui è guarito».

(da Heiner Stachelhaus, Jospeh Beuys – Una vita di controimmagini, Johan & Levi, pp. 54-55)

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