I DUE PICASSO DI GIOVANNI TESTORI

Pablo Picasso, Corrida: la morte del torero, Boisgeloup, 19 settembre 1933
Pablo Picasso, Corrida: la morte del torero, Boisgeloup, 19 settembre 1933


A Palazzo Reale per la mostra di Picasso le cose paiono andare molto bene. L’obiettivo dei 500mila pare sarà superato. Bene. È una bella mostra e chi non è ancora riuscito ad andarci vada (magari così).
Io invece ho ritrovato nell’archivio dell’Associazione Giovanni Testori due articoli che lo stesso Testori pubblicò sul Corriere, scritti in relazione alle opere in mostra a Milano. Il primo è del 1979 e si riferisce alla mostra al Grand Palais di Parigi realizzata con i quadri che gli eredi di Picasso cedettero allo Stato francese «in pagamento dei diritti di successione». Il secondo è del 1985 ed è scritto per l’inaugurazione del Museo Picasso all’Hôtel Salé realizzato con le stesse opere.

I due articoli sono molto belli. Entrambi riconoscono il genio di Picasso. Eppure vi troviamo due Picasso diversi. Eccoli

Corriere della Sera, 4 novembre 1979
Una cosa, infatti, può dirsi con certezza: ed è che Picasso ebbe a ricevere in dono due delle caratteristiche proprie a tutti i veri geni. La prima consiste nella staticità, per cui ogni movimento, per avventuroso e funambolico che appaia, ricade sempre nel nucleo di partenza (e questo risulta tanto più evidente quanto più il maestro s’affanna a voler illudere sé e gli altri del contrario); la seconda consiste nell’ovvietà, in quel non temere di prener tra mano il cosiddetto «luogo comune», anzi di riconoscerlo come il proprio unico terreno e il proprio unico dominio (fatto, questo, in cui personalmente penso risieda la più grande ed attiva lezione di Picasso; sempre, ma, in modi drammatici e particolari, ai nostri giorni in cui tutto va a evidenza ricominciato).

Su queste due constatazioni di base non è possibile nutrir dubbi. Si deve, anzi, procedere e riconoscere che quei doni Picasso di ebbe come nessun altro; almeno nel nostro secolo e per ciò che riguarda il regno dell’espressività. Senonché tali componenti, private come furono della terza, han dato luogo a una sorta di potenza smisurata, dilatantesi all’infinito ma che vacillò, poi, di continuo e di continuo si sgonfiò, come una vescica, franando su se stessa; una potenza urlata e insieme afona, ingombrante proditoria e, insieme, ridicola, inane, vuota.

Più che d’una potenza si trattò, forse, del suo specioso e grandeggiante involucro. Il fatto che, del genio, Picasso non ebbe in carico o in dono la fatalità; cioè a dire l’adesione naturale all’essere e alla vita. E qui non intendo riferirmi ai possibili rapporti con la terra; cose queste che Picasso esibì sino al folclore toreadorico. Intendo riferirmi al flusso interno, al flusso primo ed ultimo di ciò che è l’esistenza.

 

Corriere della Sera, 29 settembre 1985
Qui si tocca, forse, la ragione della forza platetariamente allarmante, perché planetariamente vitale, del mondo di Picasso; qui si prende fra le mani la prova della sua intatta attualità; un’attualità circa una conduzione dell’esistenza che, in questi anni, sembra voler consumare e distruggere, nell’uomo, la sua stessa esistenza. La necessità era, infatti, d’opporre al già iniziato dominio delle violenze scientifiche e tecnologiche, al processo non riferito più all’uomo, o indifferente all’uomo, quasi fosse il nuovo, astratto Moloch cui tutti prostrarsi, la verità nuda e cruda della creazione; e, in essa, dell’uomo.

Nuda e cruda, significava (e significa), per prima cosa, che tale verità doveva glorificare il corpo dell’uomo nella sua animalità senza paura di ricorrere, come Picasso ha più volte fatto, alla violenza e alla crudeltà che opponeva alla torva sapienza irrelata del Nuovo Potere l’enorme insipienza relata della nostra carne; forse, anzi, della bestia che, per fortuna, gemeva e geme ancora in noi. Prima che una mano di metallo, o di qualche fibra artificiale, le piombi sopra per strozzarla e finirla.

Vien da dire: ma sono due Picasso diversi o sono i Testori ad essere due?

UNA COSA DIVERTENTE DEI LEGO DI MATTEO NEGRI

Venerdì prossimo alla Galleria ABC di Genova inaugura la mostra di Matteo Negri intitolata Una cosa divertente che non farò mai più. Nel catalogo c’è una breve intervista che ho fatto a Negri. Eccone alcuni passaggi.

 

Matteo Negri, una cosa divertente che non farò mai più, genova, 2013

LF: Quindi hai deciso di smettere con i Lego?

MN: Non lo so. Forse cambierò delle cose.

LF: È comunque un momento di svolta

MN: Mi piacerebbe che la mostra di Genova fosse un punto di chiusura con un certo tipo di lavoro. I Lego hanno trovato evoluzioni più felici di altre. Adesso sono di fronte a un punto di domanda. Ma il punto di domanda non è sul fattore “Lego”, il problema è a livello della scultura.

LF: In che senso?

MN: Queste sculture si sono imposte nello spazio. Anche nello spazio aperto, pubblico. Il soffitto del mio studio è alto 3 metri e 20. È raggiungendo quell’altezza che ho realizzato le opere di Lego più interessanti. Ora vorrei sviluppare il mio lavoro in relazione con la dimensione massima.

LF: Monumentale.

MN: Sì, monumenti veri. Nelle dimensioni.

LF: Che cosa ti intriga di questo aspetto?

MN: Per fare i nodi di Lego devo realmente fare un nodo con la gomma piuma. Anche nel caso delle sculture più grandi. Le forme che realizzo sono armonie astratte nello spazio, nel vuoto. Il nodo è diventato la misura di uno spazio vuoto.

Matteo Negri, una cosa divertente che non farò mai più, genova, 2013LF: Conta di più il fattore “nodo” che non il fattore “Lego”?

MN: Sì, sicuramente. Il Lego è per me una sorta di alfabeto che mi ha portato a creare un mio linguaggio normale. È come se fosse la forma del mio disegno.

(…)

LF: Come sei arrivato al Dna?

MN: Ha una forma bellissima. Si muove nello spazio. L’elicoide è una forma straordinaria. Ne sono affascinato: è uno spazio pieno e vuoto. Delimita lo spazio, ma lo svuota al tempo stesso. È formato da due fasce simmetriche che si muovono attorno a un cilindro. Ha delle proporzioni perfette. È una geometria vera. È una sfida per uno scultore.

Nei giorni scorsi si è creato qualche equivoco rispetto ad alcune opere esposte per le vie di Genova. Niente di grave. La vicenda l’ha raccontata Secolo XIX qui e qui

BUON ANNO DA NONAMEHAPPY NEW YEAR

The people on the (People on streets) edge of the night
And loves (People on streets) dares you to change our way of
Caring about ourselves
This is our last dance
This is our last dance
This is ourselves
Under pressure
Under pressure
Pressure
The people on the (People on streets) edge of the night
And loves (People on streets) dares you to change our way of
Caring about ourselves
This is our last dance
This is our last dance
This is ourselves
Under pressure
Under pressure
Pressure

UN VERO FALSO RICHTER PER JERRY SALTZA TRUE FALSE RICHTER FOR JERRY SALTZ

Stanley Casselman, Inhailing Richter, 2012
Stanley Casselman, Inhailing Richter, 2012

Bello questo Richter, no? Peccato, però, che sia un falso. Un falso d’autore. L’ha commissionato Jerry Saltz, il critico d’arte del New York Times, all’artista Stanley Casselman. Saltz, scandalizzato dai prezzi astronomici raggiuntii dall’arte contemporanea, e resosi conto che non si sarebbe mai potuto permettere un’opera d’arte come sarebbe piaciuta a lui, ha pensato di commissionare degli autentici falsi da mettersi in casa. L’idea non è nuova, ma l’articolo è molto divertente. Lo trovate qui.

A un certo punto scrive:

Quando Stanley mi ha aperto la porta, ho visto quelli che sembravano 50 grandi quadri di Gerhard Richter. Mi è subito venuta la fantasia di diventare ricco aprendo un negozio di falsi Richter con lui. Poi ho iniziato a guardare più da vicino. Tutti i quadri sembravano richteriani, ma molti avevano un cotè impressionista, una grazia antirichteriana. Molti sembravano troppo pensati. Le casualità sembravano intenzionali piuttosto che scoperte. Potevo individuare le sue decisioni anziché queste mi prendessero di sorpresa. Richter – che applica la pittura a veli, in strati che traspaiono gli uni negli altri – controlla la casualità con un’intelligenza fisica e sottili cambiamenti di direzione e di tocco, le sue decisioni sono in un incredibile rapporto di botta e risposta con le casualità. I suoi dipinti astratti appaiono come fotografie di quadri astratti. Questo crea anomalie nella tua retina-cerebrale di memoria, e ti fa percepire uno spazio misterioso tra astrazione, casualità, fotografia, processo, natura della pittura, e pittura. Questi quadri non ci riuscivano.

Sempre Salz, sulla sua pagina Facebook scriveva:

«Credo che tutta l’arte dovrebbe costare lo stesso importo.
Davvero.
$ 12.000 per qualsiasi cosa fatta dopo il 2000.
$ 15.000 per qualsiasi cosa fatta tra il 1990 e il 2000.
$ 20.000 per qualsiasi cosa fatta tra il 1980 e il 1990.
$ 25.000 per qualsiasi cosa fatta tra il 1975-1980
$ 30.000 per qualsiasi cosa fatta tra il 1970-1975.
$ 40.000 per qualsiasi cosa fatta tra 1965-1970.
$ 50.000 per qualsiasi cosa fatta tra 1.955-1.965.
$ 75.000 per qualsiasi cosa fatta tra 1945-1955.»

E ancora:

«Esperimento mentale per un’asta

1. Immagina aste in cui i prezzi NON SONO NOTI.

2. Immagina aste in cui gli ACQUIRENTI non sono noti.

3. Immagina aste in cui i VENDITORI non sono noti».

Che ne dite? Ci si divertirebbe allo stesso modo?

Stanley Casselman, Inhailing Richter, 2012
Stanley Casselman, Inhailing Richter, 2012

A beautiful Richter, isn’t it? It is a pity that it is a fake. A perfect fake. Jerry Saltz, the art critic of The New York Times, commissioned it to artist Stanley Casselman. Saltz, shocked by the astronomical prices achieved by contemporary art, and realizing that he would never have allowed such a work as he would have liked, decided to commission authentic from false to get in the house. The idea is not new, but the article is very entertaining. You can find it here.

At one point he writes:

When Stanley opened his door, I saw what looked like 50 large Gerhard Richters. I immediately had fantasies of getting rich, of opening a Fake Richter shop with him. Then I started looking more closely. All of the paintings seemed Richterian, but many had an Impressionistic, un-Richterian prettiness. Many looked too thought-out. Accidents looked intentional rather than discovered. His decisions stood out instead of taking me by surprise. Richter—who applies paint in scrims, in layers that emerge through one another—controls accident with a physical intelligence and subtle changes of direction and touch; his decisions are in an incredible call-and-response relationship to accidents. His abstract paintings look like photographs of abstract paintings. This creates glitches in your ­retinal-cerebral memory, so that you perceive this uncanny space between abstraction, accident, photography, process, the nature of paint, and painting. These didn’t.

Always Salz, wrote on his Facebook page:

«I think that all art should cost the same amount.
Really.
$12,000 for anything made after 2000.
$15,000 for anything made between 1990 and 2000.
$20,000 for anything made between 1980 and 1990.
$25,000 for anything made between 1975-1980
$30,000 for anything made between 1970 – 1975.
$40,000 for anything made between 1965-1970.
$50,000 for anything made between 1955 – 1965.
$75,000 for anything made between 1945-1955.»

And again:

«An Auction Thought-Experiment

1. Imagine auctions where the prices are NOT KNOWN.
2. Imagine auctions where the BUYERS are not known.
3. Imagine auctions where the SELLARS are not know».

What do you think? We would enjoy it the same way?

GERHARD RICHTER A BEIRUT HA PORTATO LA TATE MODERNGERHARD RICHTER BROUGHT THE TATE MODERN IN BEIRUT

Il quadro di proprietà di Eric Clapton battuto da Sotheby’s a Londra per qualche fantastiliardo di sterline è stato dipinto da Gerhard Richter nel 1994. Molto tempo fa. Oggi Richter ha 80 anni, ma non smette di produrre opere nuove. Negli scorsi mesi ha esposto un lavoro molto particolare nelle sedi di Parigi e New York della Marian Goodman Gallery e in altre mostre in Europa. Con un processo digitale (spiegato qui) è partito da questo suo quadro astratto del 1990:

Gerhard Richter, Abstraktes Bild, Abstract Painting, 1990

e ha ottenuto immagini come questa:

Gerhard Richter

o come questa:

Gerhard Richter

Sono stampe digitali di grande formato (quella subito qui sopra è un 300×300 cm). Molto belle. Certamente non belle come l’originale. Però non è roba che ti aspetteresti da un vecchietto classe 1932. Ma non è qui che volevo arrivare. Richter questa primavera ha fatto una mostra anche al Beirut Art Center dove ha esposto una serie di fotografie dipinte nate da scatti realizzati alla Tate Modern di Londra, immagino l’anno scorso durante la prima tappa di Panorama. Beh, sono meravigliose. Eccone alcune:

Gerhard Richter, Oil on colour photograph, 2011

Gerhard Richter, Oil on colour photograph, 2011

Gerhard Richter, Oil on colour photograph, 2011

Gerhard Richter, Oil on colour photograph, 2011

Tutte le immagini sono prese da www.gerhard-richter.comThe painting owned by Eric Clapton sold by Sotheby’s in London for a few zillion pounds was painted by Gerhard Richter in 1994. A long time ago. Today Richter has 80 years, but he continues to produce new works. In recent months, he has shown a very special work at Marian Goodman Gallery in Paris and New York and in other exhibitions in Europe. With a digital process (explained here) he started with this abstract painting of 1990:

Gerhard Richter, Abstraktes Bild, Abstract Painting, 1990

and he obtained images like this:

Gerhard Richter

or like this:

Gerhard Richter

It is large format digital prints (the one above is a 300×300 cm). Very beautiful. Certainly not as beautiful as the original. But it is not stuff you’d expect from an old man born in 1932. But that’s not where I wanted to go. Richter this spring has also had a show at the Beirut Art Center where he exhibited a series of overpainted photographs born from shots taken at the Tate Modern in London, I guess last year during the first stage of Panorama. Well, they are wonderful. Here are some:

Gerhard Richter, Oil on colour photograph, 2011

Gerhard Richter, Oil on colour photograph, 2011

Gerhard Richter, Oil on colour photograph, 2011

Gerhard Richter, Oil on colour photograph, 2011

All pictures are taken from www.gerhard-richter.com

DAVID HOCKNEY: «PICASSO ERA UN PROFETA»

Gjon Mili, Pablo Picasso, Vallauris, France, 1949, Getty Images.
Gjon Mili, Pablo Picasso, Vallauris, France, 1949, Getty Images.


Sto leggendo “A Bigger Message – Conversazioni con David Hockney” di Martin Gayford appena pubblicato da Einaudi. È un libro interessantissimo. Mille sarebbero i passi da riprendere. Qui però riporto due passaggi in cui il pittore inglese parla di Pablo Picasso. Magari possono essere utili a chi non è ancora andato a vedere la bellissima mostra a Palazzo Reale a Milano. E magari anche a chi c’è andato o chi non ci andrà. Comunque, Gayford scrive a pagina 82:


John Richardson, biografo di Picasso e intimo amico dell’artista nei suoi ultimi anni, mi ha raccontato questo aneddoto:

“Lucien Clergue, il fotografo, conosceva benissimo Picasso. L’altro giorno mi ha detto: ‘Sai, picasso, mi ha salvato la vita’. Ho risposto: ‘Cosa?’ Ha proseguito: ‘Sì, è avvenuto ad Arles, dopo la corrida’. Lucien ha spiegato che si sentiva benone, aveva perso peso, ma non era preoccupato. Di punto in bianco, Picasso gli aveva detto: ‘Devi andare immediatamente all’ospedale’. Lucien gli aveva chiesto perché. Picasso aveva risposto: ‘Hai qualcosa di grave’. Lucien non ne aveva alcuna intenzione, ma Jacqueline [la moglie di Picasso] aveva aggiunto: ‘Se lo dice Pablo, devi assolutamente farlo’. Allora ci andò e i dottori lo portarono subito in sala operatoria. Gli dissero che aveva una forma rarissima di peritonite, che era mortale. L’aspetto terribile di questa malattia è che era asintomatica, non dava dolore, semplicemente uccideva. Picasso di se stesso diceva spesso: ‘Sono un profeta’.

Lo riportai a Hockney, che si disse subito d’accordo con questa conclusione.

David Hockney: «Picasso era un profeta. Probabilmente aveva visto qualcosa che non andava sul viso di Clergue. Picasso ha guardato più volti di qualsiasi altro, ma non li guardava come un fotografo. Pensava a come li avrebbe disegnati. La maggioranza della gente non guarda un viso a lungo, tende subito a guardare da un’altra parte. Ma se si dipinge un ritratto, si deve guardare il viso. Rembrandt mise più forza su un viso di qualsiasi altro pittore prima di lui, perché vedeva di più. Era una questione di occhio – e di cuore.

Qualche pagina prima, non richiesto, Hockney parla di nuovo di Picasso:

Martin Gayford: «Crede che i pittori possano acquisire un altro stile verso la fine della vita?»

David Hockney: «Beh, molti quadri dell’ultimo Picasso penso parlino della vecchiaia. Ce n’è uno meraviglioso che abbiamo visto a Baden-Baden, una sorta di autoritratto di vecchio, ma in realtà è un bambino portato da una donna. Le sue palle toccano il pavimento, le gambe deboli, fragili. È un po’ come una madre che insegna a un bambino a camminare. Lo stesso avviene nella vecchiaia, si ha bisogno di aiuto. Mi ricordo l’ombelico, che era costruito da una pennellata che Picasso aveva fatto roteare su se stessa. Questa torsione ha creato piccoli segni tutt’intorno che rendono l’immagine più dolce. È davvero sorprendente. Si ha la sensazione che l’uomo sia vecchio, ma si sente che la carne è morbida come quella di un bambino. Ci sono molti strati di pittura. Penso che si debba essere vecchi per capire di cosa di tratta.

Pablo Picasso, Homme et femme nus, 18 agosto 1971
Pablo Picasso, Homme et femme nus, 18 agosto 1971

DUE ARTISTI AL SINODO SULL’EVANGELIZZAZIONE

Qualche giorno fa il cardinale Gianfranco Ravasi, intervenendo al Sinodo dei vescovi sull’evangelizzazione, è tornato a parlare del Padiglione della Santa Sede alla Biennale di Venezia del 2013. Il testo dell’intervento lo trovate qui. Il Cardinale ne aveva accennato anche lo scorso 5 ottobre in occasione del dialogo con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Ormai del progetto si sa quasi tutto (ecco quello che spiegava Tornielli qualche mese fa). Tutto tranne il nome degli artisti che vi parteciperanno. Della faccenda se ne sta occupando monsignor Pasquale Iacobone, segretario di Ravasi. Gli inviti sarebbero partiti e, si dice, non è scontato che chi è stato invitato accetti la proposta.

Nel frattempo al Sinodo il tema dell’arte è contenuto nell’Instrumentum Laboris, che è poi l’ordine del giorno dei lavori. Se ne parla al punto 157 contenuto nel paragrafo “Fede e conoscenza”. Dunque immagino prima o poi se ne parlerà in qualche modo.

Mi pare interessante che tra gli esperti invitati al Sinodo vi siano due artisti. Sono il gesuita sloveno padre Marko Rupnik, direttore del Centro Studi e Ricerche “Ezio Aletti” di Roma e il pittore romano Rodolfo Papa, docente di Storia dell’Arte e Estetica presso la Pontificia Università Urbaniana.

Entrambi sono personalità che hanno molto riflettuto su problema dell’arte sacra contemporanea. Allo stesso tempo sono artisti molto stimati e molte sono le commissioni ecclesiali, anche molto importanti, che negli ultimi anni si sono trovati a realizzare.

L’ultimo lavoro di padre Rupnik sono i mosaici della cappella del Bildungshaus Sodalitas a Tainach/Tinje, in Austria. Qui l’immagine dell’abside con il tema biblico della rivelazione di Dio ad Abramo e Sara.

L’ultima realizzazione di Rodolfo Papa, invece, è la decorazione della nuova Cattedrale di Karakanda, in Kazakistan. Qui di seguito il quadro intitolato “La manna”. Mentre qui altre immagini dello stesso ciclo.

Non conoscendo in alcun modo l’arte orientale non so giudicare i mosaici di padre Rupnik, ma la qualità della pittura di Papa mi sembra parli da sola. Padre Marie-Alain Couturier (quello che collaborò con Matisse alla cappella del Rosario di Vence) si rivolterebbe nella tomba.

DIECI BUONI MOTIVI PER AMARE WOLFGANG TILLMANSTEN GOOD REASONS TO LOVE WOLFGANG TILLMANS

Wolgang Tillmans, Neue Welt, Taschen, 2012
da Wolgang Tillmans, Neue Welt, Taschen, 2012

Non avevo un soldo in tasca e l’ho lasciato lì. Dico Neue Welt, il nuovo libro di Wolfgang Tillmans (ed. Taschen). L’ho sfogliato. Lo andrò a prendere nei prossimi giorni. È un libro bellissimo, come del resto lo sono i suoi altri. Il 6 ottobre ha aperto una grande retrospettiva al Moderna Museet di Stoccolma (fino al 20 gennaio). Mentre alla Kunsthalle di Zurigo c’è la mostra sui nuovi lavori e che si intitola, appunto, Neue Welt, nuovo mondo (fino al 4 novembre). Qui trovate le immagini delle istallazione a Zurigo e qui quelle di Stoccolma.

Dico la verità: non so fare un discorso organico che sintetizzi i motivi per cui penso che Tillmans sia uno degli artisti che amo di più. Provo però a mettere in fila, a mo’ di elenco, qualche idea:

  1. Non è un fotografo che fa foto artistiche, ma un artista che usa la fotografia
  2. Fotografa cose belle e cose brutte. Ma le foto sono sempre belle
  3. È un artista molto concettuale, ma non è necessario essere intelligenti per godere delle sue opere
  4. È uno dei migliori ritrattisti che conosca. Forse il più grande.
  5. Il suo stupore per la natura è lo stesso del fotoamatore. Solo che lui lo comunica senza trucchi
  6. Il suo amore per le piccole cose della vita è una forma di massimalismo (mi ricorda Carver)
  7. ll modo di accostare le immagini (sia nei libri che nelle mostre) sfonda il muro della poesia
  8. Le foto astratte sono sensuali e misteriose. Se non ci fossero bisognerebbe inventarle
  9. Unisce in sé i modi migliori di essere tedesco: romantico, razionale, trasgressivo
  10. Riesce a farti piangere fotografando una cipolla. Senza tagliarla
Qui sotto alcune immagini della mostra di Zurigo:

Wolfgang Tillmans, Neue Welt, Kunsthalle Zürich, Zurich, 01 Sep - 04 Nov 2012

Wolfgang Tillmans, Neue Welt, Kunsthalle Zürich, Zurich, 01 Sep - 04 Nov 2012

Wolfgang Tillmans, Neue Welt, Kunsthalle Zürich, Zurich, 01 Sep - 04 Nov 2012

Wolfgang Tillmans, Neue Welt, Kunsthalle Zürich, Zurich, 01 Sep - 04 Nov 2012

Wolfgang Tillmans, Neue Welt, Kunsthalle Zürich, Zurich, 01 Sep - 04 Nov 2012

Wolgang Tillmans, Neue Welt, Taschen, 2012
da Wolgang Tillmans, Neue Welt, Taschen, 2012

I did not have a penny in my pocket and I left it there. I mean Neue Welt, the new book by Wolfgang Tillmans (ed. Taschen). I leafed through it. I’m going to take it in the coming days. It is a beautiful book, as indeed are his others. On October 6, has opened a major retrospective at the Moderna Museet in Stockholm (until 20 January). While at Kunsthalle in Zurich there is an exhibition of new works, which is called, in fact, Neue Welt, the new world (until November 4). Here you will find pictures of the installation in Zurich and here those in Stockholm.

To tell the truth, I am not able to write an organic reflection summarizing the reasons why I think that Tillmans is one of the artists I love the most. I try but I try to list a few ideas:

  1. He is not a photographer who takes pictures fine art, but an artist who uses photography
  2. He photographs beautiful things and ugly things. But his photos are always beautiful
  3. He is a very conceptual artist, but you do not need to be smart to rejoice in his works
  4. It is one of the best portraitist I know. Perhaps the best
  5. His amazement for nature is the same as the amateur photographer. The difference is that he knows how to communicate without tricks
  6. His love for the little things in life is a form of maximalism (reminds me of Carver)
  7. The way of combining the images (both in books and in exhibitions) breaks through the wall of poetry
  8. The abstract photos are sensual and mysterious. If there were no one should invent
  9. It combines the best ways to be German: romantic, rational, transgressive
  10. He can make you cry photographing an onion. Without cutting it
Below are some images of the exhibition in Zurich:

Wolfgang Tillmans, Neue Welt, Kunsthalle Zürich, Zurich, 01 Sep - 04 Nov 2012

Wolfgang Tillmans, Neue Welt, Kunsthalle Zürich, Zurich, 01 Sep - 04 Nov 2012

Wolfgang Tillmans, Neue Welt, Kunsthalle Zürich, Zurich, 01 Sep - 04 Nov 2012

Wolfgang Tillmans, Neue Welt, Kunsthalle Zürich, Zurich, 01 Sep - 04 Nov 2012

Wolfgang Tillmans, Neue Welt, Kunsthalle Zürich, Zurich, 01 Sep - 04 Nov 2012

THOMAS BARROW: LA RABBIA E IL PAESAGGIOTHOMAS BARROW: ANGER AND LANDSCAPE

Mi è venuto in mente il NO di Mario Schifano. Guardando queste immagini pubblicate sull’ultimo numero di Aperture mi è parso di percepire lo stesso moto di rabbia. Forse meno selvaggio, ma ugualmente potente. Thomas Barrow è un artista che ha fatto della sperimentazione fotografica la sua cifra stilistica e nel bel mezzo degli anni Settanta realizza questa serie di foto intitolata Cancellations. Sono immagini in bianco e nero del paesaggio urbano americano, simili a quelle diventate celebri con la mostra del 1975 New Topographics: Photographs of Man-Altered Landscape. C’è un’unica differenza: l’immagine è sempre attraversata da una X ottenuta incidendo il negativo. Chi si ricorda che cos’è la fotografia tradizionale sa che tipo di violenza è nei confronti di un’immagine analogica un gesto del genere. Una cicatrice, uno sfregio ineliminabile. Un gesto apparentemente banale, quasi infantile. Eppure così carico di rabbia verso ciò che appare come un’ingiustizia. Tanto hanno riflettuto i fotografi americani su quell’aggettivo “man-altered” (penso a Robert Adams, Richard Misrach o Edward Burtynsky), eppure in loro ricerca della  “wilderness” perduta aveva la forma di un’amara nostalgia. Barrow invece si ribella: si avventa con foga distruttrice facendo scempio dello scempio. Giovanni Testori, forse l’avrebbe chiamata “rivolta”. Un modo per urlare: “NO”.

 

Thomas Barrow, DART, from the series Cancellations, 1974
DART, 1974
Thomas Barrow, Horizon Rib, from the series Cancellations, 1974
Horizon Rib, 1974
Thomas Barrow, Culver City, from the series Cancellations,1975
Culver City, 1975
Thomas Barrow, UCR (ellipse), from the series Cancellations, 1976
UCR (ellipse), 1976

I came up with NO by Mario Schifano. Looking at these pictures published in the current issue of Aperture I almost felt the same surge of anger.. Perhaps less wild, but equally powerful. Thomas Barrow is an artist who has worked extensively on photographic experimentation and, in the middle of the seventies, makes this series of photos entitled Cancellations. They are images of the American urban landscape in black and white, similar to those became famous in 1975 with the exhibition New Topographics: Photographs of Man-Altered Landscape. There is one difference: the image is always crossed by a X obtained by etching the negative. Who remembers what traditional photography is, knows what kind of violence is against analog image such a gesture. A scar, an ineliminable slash. Something as apparently trivial, almost childlike. Yet a gesture so full of anger at what appears to be an injustice. The American photographers have thought a lot about the adjective “man-altered” (I think of Robert Adams, Richard Misrach and Edward Burtynsky), yet in their quest for the lost “wilderness” was in the form of a bitter nostalgia. Barrow instead rebels: pounced eagerly making havoc of the havoc. Giovanni Testori, perhaps, would call “revolt”. A way to shout “NO”.

 

Thomas Barrow, DART, from the series Cancellations, 1974
DART, 1974
Thomas Barrow, Horizon Rib, from the series Cancellations, 1974
Horizon Rib, 1974
Thomas Barrow, Culver City, from the series Cancellations,1975
Culver City, 1975
Thomas Barrow, UCR (ellipse), from the series Cancellations, 1976
UCR (ellipse), 1976