IL POPOLO ELETTO ANCHE PER LA FOTOGRAFIA

Joel Meyerowitz, Dawn, 1986
Joel Meyerowitz, Dawn, 1986
Richard Misrach, Desert Fire #249, 1985
Richard Misrach, Desert Fire #249, 1985

«Per Ghirri, come alcuni autori italiani, tedeschi, americani della sua generazione, l’immagine della fotografia è strumento di rappresentazione e contemplazione nell’orizzonte infinito della creazione, un mezzo per uscire dai simulacri e dalle proiezioni illusorie del sistema mediatico contemporaneo “per poter infine distinguere l’identità precisa dell’uomo, delle cose, della vita, dall’immagine dell’uomo, delle cose, della vita”. Il rapporto tra la fotografia e la Rivelazione ebraico-cristiana non si configura quindi come il tema svolto da alcuni grandi autori come José Ortiz de Echagüe (1886-1980), o Minor White (1908-1976), ma si pone come il fondamento stesso della visione. Solo così si può spiegare lo straordinario numero e l’eccezionale contributo dei fotografi di genealogia ebraica dall’inizio del novecento ad oggi: Alfred Stieglitz, Paul Strand, Man Ray, Erich Solomon, Alfred Eisenstaedt, André Kertesz, Robert Capa, Werner Bischof, Diane Arbus, Richard Avedon, Robert Frank, Joel Meyerowitz, Richard Misrach, Nad Goldin, solo per citare alcuni tra i più significativi».

da Giovanni Chiaramonte, Il corpo come immagine, Ultreya, 2010

APERTURE PORFOLIO 2010 – VINCE LO SVIZZERO GIAPPONESE

L’Aperture Portfolio 2010 è stato assegnato al giovane fotografo svizzero David Favrod per la serie intitolata “Gaijin”. In realtà Favrod non è proprio svizzero-svizzero (capita a tantissimi svizzeri) ma è svizzero-giapponese perché sua madre, appunto, è nata in Giappone. La storia di questo porfolio inizia quando David scopre, a diciotto anni, che il Giappone non gli concede la doppia cittadinanza. Eppure lui, nato e cresciuto in un paesino sul lago Lemano, a casa aveva respirato molto della cultura materna anche grazie allo stretto rapporto con i nonni.  Così decide di ricostruire il proprio Giappone in Svizzera. Dimenticavo: “Gaijin” in giapponese significa “straniero” o “forestiero”.

Qui sotto alcune delle immagini premiate dalla Aperture Foundation (clicca per ingrandirle).

David Favrod, GAIJIN, Aperture Portfolio Prize 2010
Autoportrait

David Favrod, GAIJIN, Aperture Portfolio Prize 2010
Paysage

David Favrod, GAIJIN, Aperture Portfolio Prize 2010
Sans Titre

David Favrod, GAIJIN, Aperture Portfolio Prize 2010
Souvenier de ma gran-mère

David Favrod, GAIJIN, Aperture Portfolio Prize 2010
Godzilla

David Favrod, GAIJIN, Aperture Portfolio Prize 2010
.

David Favrod, GAIJIN, Aperture Portfolio Prize 2010
Mes grands-parents e moi

David Favrod, GAIJIN, Aperture Portfolio Prize 2010
Mes grands-parents

David Favrod, GAIJIN, Aperture Portfolio Prize 2010
Paysage

David Favrod, GAIJIN, Aperture Portfolio Prize 2010
Autoportrait

David Favrod, GAIJIN, Aperture Portfolio Prize 2010
Sumo

David Favrod, GAIJIN, Aperture Portfolio Prize 2010
Paysage

Già che ci sono: c’è un’altra fotografa svizzera il cui lavoro è stato segnalato al Portfolio Prize. Si chiama Anne Golaz, le foto le potete vedere qui.

THE BURN, FOTOGRAFIE DI JANE FULTUN ALT

Lindsay Pollock ha segnalato sul suo blog la classifica dei “2010 Most Exciting Photographers” stilata da Rebecca Senf, curatrice del Center for Creative Photography e del the Phoenix Art Museum. Al di là dell’autorevolezza e del significato dell’operazione vi segnalo questa serie di foto di Jane Fultun Alt intitolata “The Burn”.

The Burn, Jane Fultun Alt, 2010 The Burn, Jane Fultun Alt, 2010
The Burn, Jane Fultun Alt, 2010 The Burn, Jane Fultun Alt, 2010
The Burn, Jane Fultun Alt, 2010 The Burn, Jane Fultun Alt, 2010
The Burn, Jane Fultun Alt, 2010 The Burn, Jane Fultun Alt, 2010

Qui la fotografa americana spiega il contesto in cui queste immagini sono state realizzate.

FRANCA SOZZANI, FACCI UN BEL PHOTO FESTIVAL ANCHE IN ITALIA

Carla Sozzani phography milan milanoAl di là di una sottile (ma proprio sottilissima…) vena autocelebrativa, il post che Franca Sozzani ha dedicato l’altro giorno alla sua Photo Addiction ha un suo perché.  Dopo aver raccontato le sette meraviglie di Paris Photo, a un certo punto scrive:

I can’t believe there isn’t one event in Italy solely dedicated to photography capable of attracting the international audience like it happens in Paris. We live in the country of fashion and design, and yet nothing on photography when we have so many Italian artists.

L’idea è ottima. Ora basta solo rimboccarsi le maniche. Vero, Franca?

FRANK HORVAT SI DIVENTA

FRANK HORVATL’altra settimana è uscita su Tempi una mia intervista a Frank Horvat. La trovate qui.

Ecco il brano più interessante:
Tuttavia, a giudicare dagli ultimi scatti (la buccia di un mandarino, un sasso nell’acqua, le dita di un piede tra le lenzuola), non sembra che qualcosa stia davvero accadendo. «Lo so, c’è un apparente contraddizione: quando io fotografo due mele, molti dicono che in un’immagine così non succede niente e che se le fotografassi un’ora dopo sarebbero uguali. A me invece sembra che succeda qualcosa nella mia testa. Perché magari un’ora dopo non avrò più voglia di fotografarle così, non le vedrò più così, non mi sembreranno più interessanti. Sono state interessanti perché in un certo momento, per un’associazione di idee particolare, io le ho viste come interessanti. È qualcosa che succede nel mio modo di vedere. Ma si tratta sempre di fermare qualcosa che succede. Di fermare il tempo. Ed è anche la ragione per la quale con dispiacere non ho mai fatto del cinema. Con il cinema si va con il tempo, non lo si ferma. Questo io non lo so fare, ma mi sarebbe piaciuto». Che film le sarebbe piaciuto girare se avesse potuto? «Se avessi potuto cambiare la mia vita con quella di Ingmar Bergman, l’avrei fatto».

HENRI CARTIER-BRESSON A TESTA IN GIÙ

Ieri durante la conferenza stampa di presentazione della sua mostra a Lugano, Frank Horvat ha raccontato un gustoso aneddoto. Gli chiedevano chi fossero stati i suoi maestri. Lui senza esitazione ha risposto: primo su tutti Henri Cartier-Bresson. Lo incontrò a Parigi nel 1950. «La prima volta – ha raccontato Horvat – gli portai le mie fotografie da vedere. Lui le prese e le capovolse per vedere meglio la composizione. Poi disse: “non valgono niente”». Fu l’inizio di una grande carriera.

Qui sotto proviamo a sottoporre Cartier-Bresson al suo stesso test.

Henri Cartier-Bresson
Henri Cartier-Bresson
Henri Cartier-Bresson

FRANK HORVAT vs. FRANK HORVAT A LUGANO

Frank HorvatFrank HorvatFrank Horvat è un uomo coraggioso. A Lugano in questi giorni, infatti, porta due serie di fotografie: una che risale agli anni ’50 e ’60, all’apice del suo successo, e un’altra di scatti dell’ultimo paio d’anni.
Horvat stesso pone molto l’accento sul fatto di aver deciso di buttarsi sul digitale (scatta con una piccola Canon G9), dicendo che il bianco e nero è solo una variante della fotografia a colori. Tuttavia la questione posta dalla mostra organizzata negli spazi della sede della Banca BSI  è un’altra, più bruciante: chi vince il confronto tra il giovane Horvat e Horvat il vecchio?

È un match di grande classe. Molti i colpi ad effetto. Il giovane H. punta sulla velocità e sulla forza, il vecchio H. – è comprensibile – sulla strategia e la raffinatezza del gesto.

Il verdetto è una vittoria ai punti per il giovane H. Ma il vecchio ne esce a testa alta. Eccome.

Frank Horvat
“Due serie di fotografie a mezzo secolo di distanza”

29.10.2010 – 30.11.2010
Spazio inBSI, Palazzo Riva
Via Magatti 2, Lugano

LA ISTANBUL DI BASILICO – L’ESATTEZZA DELLO SGUARDO

Viceversa, il grande fotografo milanese rimane fedele al proprio sguardo esatto, in cui il senso del mistero non si scosta mai da un’adesione tutta illuminista alla realtà delle cose. Come il narratore di talento sa cavare il fascino delle sue storie dalla scrupolosa messa in fila degli eventi, senza nulla concedere alle facili evocazioni d’atmosfera, così Gabriele Basilico usa la propria formidabile esperienza e tecnica per tenere lontani i fantasmi del preconcetto (quale che sia, è sempre il lavoro duro e serio a snidarlo, a dissiparlo), lasciando che la complessità delle cose si trasformi in esattezza di sguardo.

Luca Doninelli, dal catalogo della mostra “Istanbul 05010″ alla Fondazione delle Stelline di Milano, dal 16 settembre al 12 dicembre 2010

FÉLIX NADAR: CONSIGLI AL RITRATTISTA DILETTANTE

Félix Nadar - Selfportrait
Félix Nadar, autoritratto, 1855 circa

L’opinione che ognuno ha delle proprie qualità fisiche è talmente benevola che la prima impressione di ogni modello di fronte alle prove del suo ritratto è quasi inevitabilmente di disappunto e di rifiuto (è superfluo precisare che qui si sta parlando solo di prove perfette).
Alcuni hanno il pudore ipocrita di dissimulare il colpo sotto un’apparente indifferenza, ma non credete loro. Avevano varcato la soglia diffidenti, astiosi, e molti usciranno furibondi.
È un male difficilissimo da scongiurare; il fotografo dilettante ne soffrirà quanto il professionista, e anche di più, povero infelice! Votato in anticipo a tutte le asprezze, soprattutto perché si trova nella condizione subalterna di non avere la licenza. Si prepari dunque come il professionista, e mediti i consigli dell’esperienza.
A titolo profilattico, ossia prima di operare, fate intravvedere la possibilità della “replica”. La speranza di quella benefica “replica” sistemerà tutto, e tutti ci guadagneranno – e voi stessi siete proprio certi di non poter ottenere qualcosa che sia migliore del primo negativo?
Soprattutto, quando due modelli sono venuti insieme, cercate di fare in modo che tornino insieme al momento della consegna.
Non dimenticate mai di sottoporre le prove dell’uno all’altro e viceversa: quello che al biliardo si chiama “colpo di sponda”, e, per un minuto, allontanatevi!
Immancabilmente l’uno troverà l’altro molto riuscito, e l’altro giudicherà l’uno perfetto. Per controprova, lasciateli discutere insieme.
Superato così, e ridotto a semplice effetto di ritorno, il primo e inevitabile impatto, potrete allora avvicinarvi, e parlare senza il timore d’esser morso.
Felice tre volte l’operatore che incappa in un cliente come il mio buon Philippe Gille (sensa s!), quel mandarino letterato, sempre così di buon umore.
Ebbi appena il tempo di sottoporgli la sua prima prova che, senza degnare di un solo sguardo la seconda, quell’uomo eccellente osservò: “Perfetta! E come ha reso a meraviglia il mio sguardo buono… dolce… leale… e intelligente!”.

Félix Nadar, Quando ero fotografo, Abscondita, Milano, 2004

I PEZZI UNICI DI RICHARD LEAROYD

Richard Learoyd - Agnes in Striped Dress 2007
Agnes in Striped Dress, 2007, unique Ilfochrome print, 172.7 x 121.9 cm

Richiard Learoyd - Agnes Nude 2007
Agnes Nude, 2007, unique Ilfochrome print, 172.7 x 121.9 cm

Richiard Learoyd - Men's Back 2008
Men's Back, 2008, unique Ilfochrome print, 172.7 x 121.9 cm

Richard Learoyd - MAEKE 2007
MAEKE, 2007, unique Ilfochrome print, 172.7 x 121.9 cm

È stata una delle scoperte della puntata ad Art Basel. Sono le maestose immagini del fotografo inglese Richard Learoyd. Strabordano di delicata eleganza. Sono ritratti a grandezza naturale, ottenuti grazie a una tecnica d’altri tempi: un obiettivo dell’800 per ritratti, una stanza al posto del corpo della macchina fotografica, e fogli Ilfochrome invece della pellicola. Di fatto l’immagine viene impressa direttamente sui grandi fogli di carta sensibile che viene sviluppata senza il tramite di un negativo, il che rende la singola fotografia un pezzo unico, quasi fosse una polaroid gigante.
Al di là della perizia tecnica, il risultato è davvero straniante. L’occhio si perde nei dettagli ad alta definizione e nei profondi fuori fuoco ai bordi dell’immagine. Qui sopra ce n’è qualcuna come esempio, ma ora che vedo quanto poco rendono a video mi viene una gran malinconia di non potervele mostrare in tutta la loro bellezza.
Sul l’ultimo numero di Aperture c’è una bella intervista di Peggy Roalf a Learoyd nel quale il fotografo parlando delle sue immagini dice:

“I see my work more in the lineage of the French – referring to daguerreotypes: those nonreproducible photographic objects whose multiplaned surface and miraculous depth of field facinate me. With my work I am interested in the moment when the image becomes dye and color, when the illusion of it being a reflection or projection breaks down. I think you get that sense with the daguerreotype images: you see the object before the illusion. With my pictures, the illusion is very strong and breaks suddenly, and often momentarily, which is something i like”.