Sophie Calle e il ritratto rubato di Francis Bacon (by Lucian Freud)

Sophie Calle Lucian FreudNella bellissima mostra curata da Thomas Deman alla Fondazione Prada intitolata L’image Volée (qui trovate la recensione di @robedachiodi) c’è un’opera che mi ha commosso in modo particolare. Si intitola Purloined, Francis Bacon’s Portrait ed è stata realizzata da Sophie Calle. Il protagonista dell’opera è un ritratto di Francis Bacon realizzato nel 1952 da Lucian Freud, di proprietà della Tate Britain e che è stato rubato nel 1988 alla Neue Nationalgalerie di Berlino. L’opera è composta da una fotografia del cassetto dove il quadro veniva conservato a Londra e dalla trascrizione delle testimonianze dei custodi della Tate che avevano “vissuto” accanto al ritratto. Il testo ricorda quello stile da “soliloquio collettivo” che abbiamo imparato a conoscere leggendo i libri di Svetlana Aleksievic, Premio Nobel 2015. Lineare, di una poesia struggente. Avrei voglia di tradurlo, ma, ahimè, ci vorrebbe il tempo che non ho. Ve propongo così come il mio iPhone l’ha fotografata (cliccare per ingrandire). È un breve saggio sulla pittura di Freud, sì. Ma anche sulla dimensione affettiva delle immagini e, forse, sulla centralità del volto di Bacon per l’immaginario del Novecento.

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Arian Gheie fa il botto a Sotheby’s

Adrian Ghenie

Praticamente è successo che l’altro giorno a Sotheby’s a Londra un quadro del pittore rumeno Adrian Ghenie, classe 1977, è stato battuto per un sacco di soldi: 3,1 milioni di sterline. Parecchio in assoluto e parecchio se si tiene conto che la stima di partenza era di 400-600mila sterline. Non male per l’asta che The Art Newspaper definisce come quella che ha segnato la fine del boom delle aste d’arte contemporanea.

Sul povero Ghenie si è scagliato sua maestà Jerry Saltz che su Facebook ha scritto cose poco lusinghiere su di lui

Not one original idea about color, surface, gesture, subject matter, scale, viscosity, nuttin’ honey. Thickish paint to seem like serious painting. Unfinished bits to let us know it’s modern and self-aware. – Every painting is pretty huge. But it could be great too. Looks a lot like art.
I have been on about how shit this artist is since the beginning; just another artist who makes art that looks like other art that art collectors buy because it looks like what other art collectors buy!)
Which is cool too I guess.

Mi sembra perlomeno ingeneroso. Almeno da quanto abbiamo visto con i nostri occhi al Padiglione Rumeno dell’ultima Biennale di Venezia. Se una cosa si può dire su Ghenie è che sa dipingere davvero bene. Ha una “padronanza del mezzo” davvero notevole. Poi, è vero, si ha l’impressione di vedere lì Bacon, qui Richter, là Polke… È una pittura all’insegna del sincretismo. Ma chi oggi è in grado di sintetizzare la lezione tutti questi grandi messi insieme in modo così credibile?

Lasciamo perdere il prezzo d’asta, chissene frega. Si vede lontano un miglio che il successo di Ghenie è creato a tavolino. Però mi pare resti una sorpresa per la pittura degli ultimi anni. Non l’artista più originale degli ultimi tempi, ma una voce profonda e intonata, dal timbro corposo e virile. Che vale la pena ascoltare.

Stiamo a vedere da che parte andrà in futuro.

Qui qualche immagine scattata a Venezia:

Adrian Ghenie
Adrian Ghenie

Adrian Ghenie
Adrian Ghenie

Adrian Ghenie
Adrian Ghenie

Qui un video sulla mostra alla Pace del 2014:

 

COME PENSA LA PITTURA? JONATHAN LITTELL SU FRANCIS BACON

Jonathan Littell, Trittico - Tre Studi su Francis Bacon - Einaudi

Ho letto il libro di saggi su Francis Bacon di Jonathan Littell. È intelligente e istruttivo. Istruttivo perché si imparano molte cose non solo su Bacon, ma anche su Velásquez, Goya e la storia della figurazione nell’Occidente cristiano (interessantissima la digressione che porta dai ritratti delle mummie del Fayyum a Rogier van der Weyden passando per la vicenda del Mandylion – la vera immagine di Cristo). È intelligente perché non chiude Bacon in una gabbia di interpretazioni, ma dice che per capire quel che dice Bacon occorre innanzitutto imparare ad ascoltare la sua lingua, che è la pittura. Non è un’idea formidabile o inaudita, ma viene spiegata con molta onestà e chiarezza. È un invito all’umiltà e alla curiosità.

Qui riporto uno dei passi più significativi.

La maggior parte degli spettatori, guardando un dipinto di Francis Bacon, dà per scontato, senza nemmeno pensarci, che la figura umana o animale di fronte a loro sia il soggetto di quel quadro. Ma non è affatto così: la figura è l’oggetto dipinto nel quadro; il soggetto, come in tutta la pittura, e non solo in quella astratta, è la pittura in sé. È la pittura a parlarci di ciò di cui essa stessa tratta. «La pittura – come Bacon spiegò a Franck Maubert a un cero punto degli anni ottanta – è un linguaggio a sé, una lingua a parte». Come tale, ha una propria fonologia (le relazioni e i valori tonali) e una morfologia (la disposizione delle forme sulla tela), una grammatica e una sintassi, la cui specifica organizzazione e articolazione, all’interno dell’opera di ciascun pittore, è l’unica cosa che può insegnarvi a leggere quell’opera. Ovviamente un attento studio degli oggetti è di importanza cruciale, e l’ampio corpus di scritti scaturito dallo studio delle fonti dell’opera di Bacon si è rivelato uno strumento potente, come ogni approccio iconografico, anche se ben presto mostra i suoi limiti (…).

Anche se sarebbe meglio evitare di prendere troppo alla lettera le dichiarazioni di Bacon in proposito, come dire la sua versione ufficiale, e prestare piuttosto attenzione a ciò che lui stesso definiva la propria «immaginazione tecnica». Soprattutto, sarebbe meglio non chiedersi mai: «Che cosa voleva dire Bacon qui?», perché non lo sapeva nemmeno lui, ma piuttosto: «Che cosa ci sta dicendo, qui e ora, questo dipinto?». Prendetevi il tempo per guardare davvero i dipinti, da soli in una sala o circondati dalla folla incollata alle audio guide, o anche seduti di fronte alle riproduzioni, su un catalogo o sullo schermo di un computer; osserva teli a lungo, spostandovi dall’uno all’altro, con pazienza: a poco a poco inizierete a vedere come pensa la pittura.

Jonathan Littell, Trittico – Tre studi da Francis Bacon, Einaudi p. 45

DEGAS GUARDATO CON GLI OCCHI DI BACONDEGAS THROUGH BACON’S EYES

Francis Bacon, In memory of George Dyer, 1971, Beyeler Foundation
Francis Bacon, In memory of George Dyer, 1971, Beyeler Foundation

Un modo per parlare della mostra su Edgar Degas alla Fondazione Beyeler di Basilea è partire dalla fine. E cioè dalla sala che segue l’ultima stanza della mostra. Qui sono esposte tre opere di Francis Bacon (In memory of George Dyer, 1971Portrait of George Dyer riding a bicycle, 1966 e Sand dune, 1983), una di Auguste Rodin (Iris, messagère des dieux (figure volante), 1890/91) e una di Lucio Fontana (un Concetto spaziale in terracotta simile a questo). L’effetto “doccia scozzese” che procura questa sala aiuta, con il suo shock, a toglierci di dosso la lettura che saremmo portati a sulle opere dell’ultimo Degas (tema della mostra). Invece guardare Degas con gli occhi di Bacon è un esercizio salutare perché spoglia il pittore francese da una possibile lettura “piccolo borghese”. Non è un mistero che Bacon amasse Degas e lo considerasse uno dei suoi artisti di riferimento. Ne parlò diverse volte con David Sylvester e, in un’occasione, Bacon indica come il miglior Degas proprio quello dei pastelli a cui la mostra di Basilea è quasi interamente dedicata:

«The very great Degas are the pastels, and don’t forget that in his pastels he always striates the form with these lines which are drawn through the images and in a certain sense both intensify and diversify its reality. I always think that the interesting thing about Degas is the way he made line throught the body: you could say the he shuttered the body, in a way, shuttered the image and then he put an enormous amount of color through these lines. And having shuttered the form, he created intensity by this colour through the flesh».

Quando poi la National Gallery nel 1985 invitò Bacon a curare una mostra della serie “The artist’s eyes”, in cui un artista contemporaneo faceva una selezione delle opere della collezione, sulla locandina e sulla copertina del catalogo ci finì proprio un pastello di Degas. Il curatore Martin Schwander in catalogo lo dice chiaramente: uno degli artisti che condivise con Degas la visione del corpo umano come il campo di battaglia di forze invisibili fu Francis Bacon. Sul rapporto tra i due pittori, tra l’altro, ha scritto anche Martin Hammer in saggio frutto di una conferenza alla Tate Britain lo scorso 24 novembre 2011. Il testo lo trovate qui.

In mostra in almeno un punto i ruoli sembrano invertirsi: è Degas a guardare Bacon:

Edgar Degas, Après le bain, femme s'essuyant, c. 1896, Philadelphia Museum of Art
Edgar Degas, Après le bain, femme s'essuyant, c. 1896, Philadelphia Museum of Art

Un quadro davvero forte e profondamente novecentesco. Forse non è un caso che nasca da una fotografia scattata dallo stesso Degas:

Edgar Degas, Nu féminin s'essuyant, 1895-96, gelatin silver print, The Paul Getty Museum, Los Angeles
Edgar Degas, Nu féminin s'essuyant, 1895-96, gelatin silver print, The Paul Getty Museum, Los Angeles

Comunque, se avessi potuto portarmi a casa un quadro mi sarei portato a casa questo qui sotto. Quella torsione michelangiolesca e quei colori pop sono davvero irresistibili.

Edgar Degas, La Sortie du bain, c. 1895, Collezione privata
Edgar Degas, La Sortie du bain, c. 1895, Collezione privata
Francis Bacon, In memory of George Dyer, 1971, Beyeler Foundation
Francis Bacon, In memory of George Dyer, 1971, Beyeler Foundation

 

One way to talk about the exhibition on Edgar Degas at the Beyeler Foundation in Basel is starting from the end. I mean from the room that follows the last room of the exhibition. Here are exhibited three works by Francis Bacon  (In memory of George Dyer, 1971Portrait of George Dyer riding a bicycle, 1966 e Sand dune, 1983), one by Auguste Rodin  (Iris, messagère des dieux (figure volante), 1890/91) and one by Lucio Fontana  (a Concetto spaziale similar to this one). The effect of “cold shower” that provides this room helps us, with his shock, to take off the reading that would be carried on the works of the last Degas (theme of the show). Instead looking Degas through Bacon’s eyes is a healthy exercise that strips the French painter from a possible “petty bourgeois” reading. It is no secret that Bacon loved Degas and considered him one of his artists to reference. It is no secret that Bacon loved Degas and considered him one of his artists to reference. He spoke several times with David Sylvester and, on one occasion, Bacon says:

«The very great Degas are the pastels, and don’t forget that in his pastels he always striates the form with these lines which are drawn through the images and in a certain sense both intensify and diversify its reality. I always think that the interesting thing about Degas is the way he made line throught the body: you could say the he shuttered the body, in a way, shuttered the image and then he put an enormous amount of color through these lines. And having shuttered the form, he created intensity by this colour through the flesh».

Then, when the National Gallery in 1985 Bacon invited to curate an exhibition of the series “The artist’s eyes”, in which a contemporary artist made a selection of works from the collection, on the poster and on the cover of the catalog was placed right a pastel by Degas. The curator Martin Schwander in catalog makes it clear: one of the artists who shared with Degas the vision of the human body as the battleground of invisible forces was right Francis Bacon. On the relationship between the two artists, among others, also Martin Hammer wrote essay fruit of a conference at Tate Britain on 24 November 2011. The text can be found here.

On show at one point the roles seem reversed: it is Degas to look Bacon:

Edgar Degas, Après le bain, femme s'essuyant, c. 1896, Philadelphia Museum of Art
Edgar Degas, Après le bain, femme s'essuyant, c. 1896, Philadelphia Museum of Art

A picture really strong and deeply twentieth century. Perhaps it is no coincidence that spring from a photograph taken from Degas himself:

Edgar Degas, Nu féminin s'essuyant, 1895-96, gelatin silver print, The Paul Getty Museum, Los Angeles
Edgar Degas, Nu féminin s'essuyant, 1895-96, gelatin silver print, The Paul Getty Museum, Los Angeles

However, if I could bring home a painting I would have taken home this below. That Michelangelesque twist and those pop colors are truly irresistible.

Edgar Degas, La Sortie du bain, c. 1895, Collezione privata
Edgar Degas, La Sortie du bain, c. 1895, Collezione privata

JENNY SAVILLE A OXFORD RIPENSA A TIZIANO E A PICASSOJENNY SAVILLE THINKS BACK TO TIZIANO AND PICASSO

Jenny Saville, Mirror, 2012 (particolare)
Mirror, 2012 (particolare)

Sono stato a Oxford a vedere la mostra di Jenny Saville di cui parlavo qualche post fa.
Un anno fa, nel suo blog, Jonathan Jones si domandava (lui diceva senza ironia) se la pittrice inglese fosse davvero tale o non fosse altro che un fenomeno un po’ strano di militanza femminista.

Io, per quello che può contare, non ho dubbi: Jenny Saville è una grande artista. Orfani di Lucian Freud, probabilmente, è la pittrice più importante in circolazione che si dedichi alla figura umana (ve ne vengono in mente altri?).

La mostra al Modern Art Oxford è una retrospettiva che ripercorre à rebours le tappe più significative della carriera dell’artista scoperta da Charles Saatchi. I primi quadri sono quelli dell’ultimo triennio, mentre nell’ultima stanza sono esposte le opere dei primi anni Novanta.

Quel che balza agli occhi è lo scarto che c’è stato in questo ultimo periodo in cui il lavoro sul corpo umano, da una sorta di ossessione per i volumi della carne, qui debordante, là ferita e deturpata, si trasforma in una riflessione sulla linea e sul movimento. Nel video in mostra, come aveva fatto nell’intervista che avevo segnalato, la Saville dice che ciò che le ha fatto cambiare marcia è stata l’esperienza della maternità. Dopo aver avuto due figli a distanza ravvicinata, l’artista racconta che è mutata in lei la percezione del proprio corpo. I nuovi quadri, infatti, sono di nuovo degli autoritratti nei quali compaiono, questa volta, anche i suoi figli. Ma non solo. Il riferimento ai grandi dell’arte antica (Leonardo e Tiziano) diventa esplicito. Come se, per esprimere il proprio sguardo sul corpo umano, la Saville avesse bisogno di tornare a questi grandi. Come se, per dire la scoperta della maternità, avesse bisogno di tornare là dove più compiutamente il rapporto tra madre e figlio era stato messo in scena. Questo aspetto è reso ancor più chiaro dallo spin off della mostra al  Ashmolean Museum dove due sue opere sono esposte nella sala della pittura italiana del Rinascimento.

Il confronto con questi grandi sembra riuscirle senza cadere nel ridicolo, secondo, perché riesce a non dimenticarsi neppure della lezione di Bacon, ma forse ancor di più di quella di Picasso.

L’immagine qui sopra è un particolare del grande quadro “Mirror” che vedete qui sotto per intero. Il riferimento esplicito è alla Venere di Urbino di Tiziano.

Jenny Saville, Mirror, 2012
Mirror, 2012
Jenny Saville, Mirror, 2012 (particolare)
Mirror, 2012 (particolare)

I went to Oxford to see the exhibition of Jenny Saville I mentioned a few posts ago.

A year ago, in his blog, Jonathan Jones wondered (he said without irony) if the English painter was really an artist or she was nothing more than a strange phenomenon of feminist activism.

For what it’s worth, I have no doubt: Jenny Saville is a great artist. Orphans of Lucian Freud, she is probably the most important painter in circulation, which is devoted to the human figure (you can think of others?).

The exhibition at Modern Art Oxford is a retrospective covering a rebours the most significant stages of the career of the artist discovered by Charles Saatchi. The first pictures are those of the last three years, while the last room displays works of the early nineties.

What leaps to the eye is the gap that there was in this last period in which the work on the human body, a sort of obsession with the volumes of meat, overflowing here, wounded and disfigured there, it becomes a meditation on line and movement. In the video in exhibition, as she had done in the interview that I had indicated, Saville says that what changed her way of working has been the experience of motherhood. After having two children at close range, the artist says that perception of her body has changed in her. The new paintings, in fact, are still self-portraits in which, this time, even her children appear. But not only. The reference to the great ancient art (Leonardo and Titian) becomes explicit. As if to express her vision of the human body, Saville needed to go back to these great masters. As if to express the discovery of motherhood, she needed to go back there where more fully the relationship between mother and son had been staged. This is made even clearer by the spin-off show at the Ashmolean Museum, where two of his works are exhibited in the hall of Italian Renaissance painting.

The comparison with these great masters seems to succeed without ridicule. She can also not even forget the Bacon’s lesson, but perhaps even more Picasso’s one.

The image above is a detail of the big painting “Mirror” that you see below in full. The explicit reference is the Venus of Urbino by Titian.

Jenny Saville, Mirror, 2012
Mirror, 2012

C’ERA UNA VOLTA L’ARTE CONTEMPORANEA AL MEETING DI RIMINI

Meeting di Rimini, mostra di Francis Bacon, 1983
I quadri di Francis Bacon al Meeting di Rimini del 1983.

Si avvicina il Meeting di Rimini. Per curiosità mi sono andato a rivedere l’archivio delle passate edizioni. In particolare la sezione dedicata alle mostre. Mi ha molto colpito il numero di mostre dedicate all’arte contemporanea durante le prime edizioni della manifestazione ciellina. I nomi, poi, sono da pelle d’oca: Richard Long, Luigi Ghirri, Graham Sutherland, Francis BaconHenri Moore, James Turrell, Robert IrwinCarl Andre, Renato Guttuso… Tutti erano presenti con proprie opere. Molti nomi sono legati alla figura del Conte Panza. Altri a Giovanni Testori. Due figure completamente agli antipodi, eppure entrambi lì, al Meeting. Poi tanta fotografia di altissimo livello: chi in Italia conosceva Martin Parr? Chi aveva visto gli originali di Camera Work?

Una cosa è certa: allora il Meeting di Rimini era una sede espositiva di arte contemporanea di livello internazionale. Sarebbe bello ricominciasse ad esserlo.

Ecco l’elenco delle mostre di arte contemporanea e fotografia delle prime otto edizioni. Tanta roba.

1980

L’arte russa non ufficiale
a cura di Gleser Alexandre

Paesaggi interiori
mostra di Luigi Ghirri, Giovanni Chiaramonte, Piero Pozzi

La bellezza è piena di volti
mostra di Claudio Pastro

Personale di Vittorio Citterich

1981

Come un artista crea
foto di Elio Ciol su William Congdon

Il Cristo e le Crocifissioni
mostra di Graham Sutherland

Land art
mostra di Richard Long

1982

Il volto dell’uomo
a cura di Mario De Micheli

Arte come presenza
a cura di Mario Cappelletti, Mario De Micheli, Isa Ghianda, Stefano Peroni

La pittura come liturgia
mostra di Carmine Benincasa

1983

Il grido prima dell’orrore. Mostra di quadri di Francis Bacon
a cura di Giovanni Testori

Significati nel visibile
a cura di Giovanni Chiaramonte

L’arte concettuale: la scuola di New York
a cura di Giuseppe Panza

Il sacro nell’opera di Sassu
a cura di Giorgio Mascherpa

Henri Moore
a cura di Carmine Benincasa, Cleto Polcina

Spes contra spem. Opere di Renato Guttuso
a cura di Carmine Benincasa

1984

Action Painting
a cura di Fondazione Solomon Guggenheim

Carl Andre: Natura e razionalità
a cura di Giuseppe Panza

America addio: William Congdon pittore del mondo
a cura di Giuseppe Mazzariol

I due infiniti momenti della fotografia americana
a cura di Giovanni Chiaramonte

Documenti dell’arte americana dal 1950 al 1975
a cura di Giuseppe Panza

1985

Personale di George Segal
a cura di Daniel Berger

Via Crucis atomicae
mostra di Camilian Demetrescu

1986

Chagall monumentale
a cura di Sylvie Forestier, Brigitte Les Marq, Charles Les Marq

William Eugene Smith: Usate la verità come pregiudizio
a cura di John G. Morris

1987

Il Miserere di Georges Rouault

Il senso della spiritualità nell’arte di Guttuso

L’atelier Picasso
a cura di Charles Feld

Gaudì e il sacro
a cura di Maria Antonietta Crippa, Enrico Magistretti

Arte ambientale: James Turrell e Robert Irwin
a cura di Giuseppe Panza

Omaggio ad Andrej Tarkovskij
a cura di Nathan Fedorowskij

TESTORI A RAVENNA, I QUADRI CHE MI SAREI PORTATO A CASA

Oggi con Giuseppe, Davide, Petra e Alessandro sono stato alla mostra “Miseria e splendore della carne. Testori e la grande pittura europea” curata da Claudio Spadoni per il Mar di Ravenna. Mi hanno detto che se voglio continuare a tenere questo blog devo parlar bene di questa mostra. Allora lo faccio (senza sforzo). La mostra è molto bella. Bello il primo piano (c’è un Fra Galgario il cui sguardo farebbe commuovere anche un toro), il secondo piano è il più debole (come fare a portare i grandi GéricaultCourbet, Giacometti?), il terzo è quello dei fuochi artificiali (soprattutto per la stanza di Morlotti, anche se la splendida sequenza degli adda alla mostra “Testori a Lecco”  resta forse insuperabile). L’ultima stanza è un vero e proprio coup de théâtre.

Di seguito vi segnalo i tre quadri che mi sarei portato a casa. Non c’è il Caravaggio, lo so. Ma per quello non avrei i soldi per l’assicurazione. Non c’è Giacometti, lo so. Non c’è Bacon, lo so. E neanche Tanzio, neanche Cairo, Fra Galgario, Ceruti… Ho scelto questi. Punto. Se ripasso per Ravenna ne scelgo altri tre.

Villy Varlin, Apocalisse (Ritratto di Giovanni Testori), 1972, olio su tela 265x501 cm.
Villy Varlin, Apocalisse (Ritratto di Giovanni Testori), 1972, olio su tela 265x501 cm.

La verità è che in questi enormi, dissenati e rovesciati teloni, il coito e l’assassinio son sempre lì, a un passo; a un passo il tranello che non dà scampo […]. Anche perché, capitanate dalla beccatrice, vi favoleggiano le diavolesse (bondasche e no); e vi danzano, abbracciati in una baraonda mai vista, una baraonda da giudizio universale sganasciato e finente poi nella più fallimentare e totale liquidazione che si conosca, loro (noi): quelli che si credono vivi; cioè a dire, le pisce dell’esistere; i fantasmi del gran ballo che è la vita; e del suo inevitabile abbattersi e risorgere nella perpetuazione del dolore e del niente.

Giovanni Testori, L’ironia, la cenere, il niente, in Giovanni Testori. Villy Varlin, catalogo della mostra: Milano, Rotonda della Besana, marzo-aprile 1976, Electa, Milano 1976, p. 20

Ennio Morlotti, Studi per bagnanti, 1988, olio su tela, 190 x 170 cm.
Ennio Morlotti, Studi per bagnanti, 1988, olio su tela, 190 x 170 cm.

Dir natura, insomma; ma’ non dirlo, contro la giungla della città, di strade, fabbriche e cose dov’è pure un ingorgo da penetrare e scoprire; riproporre un senso della terra talmente profondo e massiccio, da sopportar che da esso si partissero i voli fra gli astri e le avventure dell’uomo e dei suoi ordigni dentro il cosmo; rioffrir, insomma, ai viventi il senso di una terra che, malgrado tutto, continua a sostenere e alimentare la loro esistenza. Ecco qual fu e qual è al presente, il significato dell’opera di Morlotti.

Giovanni Testori, Ennio Morlotti. Nato a Lecco il 20.IX.1910, risiede a Milano, in VII Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma, catalogo della mostra: Roma, Palazzo delle Esposizioni, dicembre 1959 – aprile 1960, De Luca, Roma, pp.78-79

Al contrario di Bacon, Fetting, il corpo dell’uomo, non può che adorarlo. Ma la sua adorazione non nasce da alcun modello già esistente di bellezza. Nasce dal violento attacco che bellezza e luce non cessano un solo istante di compiere in lui. Bellezza e luce fustigano Fetting; lo flagellano; lo martirizzano. Ma proprio perché accetta questo furibondo assalto, Fetting può sopportare in sé fustigazioni, flagellazioni e martirii e lasciare che il corpo cercato, inseguito, raggiunto e amato, il corpo che egli, prima e dopo averlo dipinto, ha stretto a sé o da cui s’è fatto stringere come per ricomporre, finalmente, e sia pure per un breve istante, una sola carne e l’unità dell’essere.

Giovanni Testori, Una luce suicida, in “Flash Art”, XIX, 132, aprile-maggio, pp.26-29

SEGNI IRRAZIONALI – PERCHÈ BACON GUARDAVA A REMBRANDT

Irving Penn, Francis Bacon, 1962
Irving Penn, Francis Bacon, 1962

Entrambi avevano l’ossessione dell’autoritratto. Sembra essere questa l’unica cosa che accomuna Rembrandt e Francis Bacon. In realtà quest’ultimo aveva quasi un culto per il maestro olandese tanto che quando nel 1962 Irving Penn andò a fotografarlo, Bacon aveva appeso sulla parete del suo studio una riproduzione dell'”Autoritratto con berretto” conservato al Musée Granet a Aix-en Provence. Di quel quadro Bacon parla nel 1966 anche con David Sylvester (qui il video) e dice:

“Well, if you think of the great Rembrandt self-portrait in Aix-en-Provence, for instance, and if you analyse it, you will see that there are hardly any sockets to the eyes, that it is almost completely anti-illustrational. I think that the mystery of fact is conveyed by an image being made out of non-rational marks… in this Rembrandt self-portrait… there is a coagulation of non-rapresentational marks which have led to making up this very great image. Well, of course, only part of this is accidental. Behind all that is Rembrandt’s profound sensibility, which was able to hold onto one irrational mark rather than onto another. And abdtract expressionism has all been done in Rembrandt’s marks. But in Rembradt it has been with the added thing that it was an attempt to record a fact and to me therefore must be much more exciting and much more profound”.

Il fatto che oggi si ritiene che il quadro del Musée Granet sia incompiuto non toglie nulla all’osservazione di Bacon. Sta di fatto che quel quadro – ma anche gli autoritratti dell’ultimo periodo lo sono – è la dimostrazione, per Bacon, che per raggiungere la somiglianza al soggetto non è necessario che le pennellate vadano in cerca della verosimiglianza.

Pilar Ordovas ha deciso di inaugurare la sua propria galleria a Londra con questa mostra “Irrational marks: Bacon – Rembrandt”. Per la serie: meglio non si può iniziare. La mostra dura fino al 16 dicembre. E non aspettatevi la retrospettiva con mille quadri: di Rembrandt c’è solo quello di cui parla Bacon.

Rembrandt, autoritratto con berretto, circa 1959
Rembrandt, autoritratto con berretto, 1959

Francis Bacon, Study for a Self-Portrait, 1973
Francis Bacon, Study for a Self-Portrait, 1973