L’enigma di Andy Warhol

Andy Warhol, The Last Supper

Questo articolo è stato pubblicato sul numero di febbraio 2017 di Tracce

«Al momento della sua morte, che lo colse all’età di 59 anni, il 22 febbraio del 1987, Andy Warhol era per molti poco più che la parodia di un artista», ha scritto Jerry Saltz del New York Times: «Era considerato un parassita della società che viveva sulle spalle di artisti più giovani. Un individuo ormai cotto e sovraesposto, il mito di se stesso, un artista da night club che se ne andava in giro con Liza Minelli e faceva ritratti di gente famosa per soldi. Poi è morto e all’improvviso tutte le apparizioni mondane, le foto, gli show televisivi, i film, le riviste, perfino i quadri che tanta gente aveva sempre guardato con sospetto, hanno preso vita, crescendo di statura. La mia domanda è: come mai Warhol è più rispettabile da morto che da vivo?».

A trent’anni esatti dalla scomparsa del Pope of Pop, il papa del pop, ci sono diversi modi per rispondere a questa domanda. Un modo è considerare quanto accaduto alla messa di suffragio per Warhol, nella Cattedrale di Saint Patrick a New York a qualche giorno dalla morte. Per l’elogio funebre prese la parola il critico John Richardson che rivelò non solo che l’artista era un fedele volontario di una mensa per i poveri, ma che da cattolico di rito bizantino, fino agli ultimi giorni, frequentava la chiesa per la messa domenicale e per pregare durante i giorni feriali. «Chi di voi lo ha conosciuto in circostanze che erano l’antitesi dello spirituale sarà sorpreso che questo lato sia esistito», disse Richardson davanti a decine di celebrità: «Ma c’era eccome, ed è la chiave della sua mente di artista».

Per molti quel momento è stata l’occasione per riconsiderare l’opera di Warhol da un’altra prospettiva. Complice del grande fraintendimento fu lui stesso, che aveva fatto di tutto per confondere le carte: «Non prendete mai Andy alla lettera», si raccomandava Richardson. Eppure, a trent’anni di distanza, quello che appare un enigma non è stato del tutto chiarito. Come può un’arte intenzionalmente superficiale essere espressione autentica di un animo sinceramente religioso, per non dire cattolico?

I biografi hanno raccolto molti aneddoti che attestano il reale attaccamento di Warhol alla Chiesa. Qualcuno ha detto che tenesse sempre in tasca un rosario. L’amico Bob Colacello sostiene che dopo l’attentato del 1968, quando una squilibrata gli sparò lasciandolo in fin di vita, promise, se fosse sopravvissuto, di andare a messa ogni domenica. Esiste la fotografia del suo incontro con papa Wojtyla in Piazza San Pietro nel 1980. Sul suo comodino è stato trovato il libro di preghiere della sua infanzia. Richardson disse che Andy pagò il seminario a un nipote e, almeno in un caso, fu responsabile di una conversione (il critico non diede ulteriori particolari). Eppure tutti sapevano che Warhol non era un santo: la sua Silver Factory negli anni Sessanta fu per molti un luogo di autodistruzione (un esempio su tutti: il ballerino Fred Herko, che si gettò dal tetto dell’edificio). Debolezze ne aveva come tutti, e anche qualcuna in più. È evidente che il mistero non può essere risolto confidando solo sui dati biografici e limitandosi a constatare che, tra icone del consumismo e celebrità, nella sua produzione artistica compaiono anche soggetti religiosi.

Andy Warhol, Christ 112 timesSe esiste una chiave per risolvere l’enigma, essa va trovata – questa volta sì – in profondità, cioè nella concezione che Warhol aveva di ciò che gli interessava di più: le immagini. In questo senso serve sapere che la sua famiglia proveniva da un piccolo paese nei Carpazi – all’anagrafe era registrato come Andrew Warhola – e che, giunta a Pittsburgh, frequentava la chiesa bizantina cattolica di San Giovanni Crisostomo. Quella chiesa possiede un’iconostasi e i fedeli, come fanno anche gli ortodossi, entrando, baciano le icone. Il bacio dice di un legame quasi sacramentale con l’immagine, che diventa strumento del rapporto con il divino. Il fondo oro delle icone è lo spazio eterno della dimensione sacra. E tuttavia l’icona è viva e guarda il fedele il quale, con umiltà, si lascia guardare. Anche per questo la tradizione orientale ha codificato canoni per la composizione e la simbologia a cui gli iconografi si attengono.

La ripetitività e la spersonalizzazione tipiche dell’arte bizantina sono le stesse che segnano l’opera di Warhol già nelle sue prime opere mature. Le lattine della zuppa Campbell sono riprodotte in modo fedele, senza volontà di interpretazione. La figura è ripetuta identica a se stessa. Gli oggetti della vita quotidiana sono offerti come un gesto di stima verso tutto ciò che ci circonda.

Quanto la pittura, in Warhol, inviti lo spettatore a far ciò che il fedele compie nei confronti dell’icona sacra, cioè entrare in rapporto reale con ciò che è rappresentato, possiamo solo supporlo. Di certo la sua era una vera e propria bulimia di realtà. In America, un diario visivo Warhol racconta che quando i giornalisti chiesero a Giovanni Paolo II che cosa gli piacesse di più di New York, rispose: «Tutto». E l’artista aggiunge: «È esattamente questa la mia filosofia».

Anche la sua passione per le celebrità, in fondo, è un modo tutto americano di celebrare il desiderio di essere voluti bene. E non appare per nulla frivolo proporre i ritratti di Marilyn Monroe, Jackie Kennedy e Liz Taylor nei momenti più drammatici delle loro vite. Anche qui: sembrerebbe l’invito a un gesto di affetto, a un bacio, a uno sguardo che entri in rapporto con ciò che di non superficiale c’è nei volti che tutti si accontentano di guardare con superficialità. Questo non significa che Warhol volesse fare arte religiosa e men che meno arte sacra.

Eppure, per uno strano destino, negli ultimi due anni si è ritrovato a lavorare in modo accanito sull’immagine di Cristo. L’occasione, abbastanza casuale, fu l’invito del gallerista Alexander Iolas a fare una mostra a Milano al Palazzo delle Stelline, a pochi metri dall’Ultima cena di Leonardo. Sarà l’ultima sua mostra, inaugurata pochi giorni prima di morire.

Jane Daggett Dillenberger, nel suo The Religious Art of Andy Warhol, ha calcolato che l’artista, comprese le versioni in cui ha usato il volto di Cristo come multiplo, lo abbia raffigurato 448 volte. Si tratta del ciclo a soggetto religioso più ampio di tutta l’arte americana. E alcune opere sono le più monumentali della produzione di Andy: The Last Supper (Red) del 1986, con i suoi dieci metri di larghezza, è perfino più grande dell’originale leonardesco.

Che Warhol si appassioni a questo lavoro è più che comprensibile: si trova a confrontarsi con una tra le immagini più mediatizzate della storia dell’arte, il cui protagonista, Gesù, a ben vedere, è la celebrità al massimo grado: Jesus Christ Superstar. Tutti lo conoscono, tutti lo amano. Non solo: quella di Leonardo è l’immagine che la famiglia Warhola aveva appesa sopra il tavolo della cucina della casa di Pittsburgh. E la madre Julia, che visse fino alla morte con il figlio, teneva nel suo libro di preghiere un santino del Cenacolo.

Andy Warhol, Last SupperL’incontro con il tema di Cristo può essere considerato, a ragione, il compimento di una poetica ormai matura, che fonda le proprie radici, come affermava Richardson, nella religiosità popolare. Il lavoro su Leonardo, ad ogni modo, non si limita a riproporre, con qualche modifica, l’immagine del Cenacolo. Warhol usa come base per i dipinti un disegno trovato in un’enciclopedia ottocentesca, e per le serigrafie una riproduzione comprata in un negozio coreano di oggetti religiosi non distante dalla Factory. Nascono così The Last Supper (Wise Potato Chips), in cui sovrappone alla scena evangelica, per indicarne l’aura di saggezza (Wise), il logo a forma di occhio di una marca di patatine fritte. In The Last Supper (Dove), usa il logo del noto sapone e una colomba. Il riferimento, suggerisce la Dillenberger, è a un episodio particolarmente caro alla Chiesa orientale, quello del Battesimo al Giordano, in cui lo Spirito Santo discende su Gesù in forma di colomba. Sulla sinistra il prezzo “59¢”, a indicare che, come i prodotti di uso comune a buon mercato, Cristo si offre a tutti. E a destra il logo della General Electric, l’azienda che porta energia e luce in tutte le case degli americani.

Un altro ciclo di dipinti è intitolato Be Somebody with a Body (with Christ of the Last Supper), in cui la scritta che dà il titolo all’opera è stretta tra l’immagine di Gesù dell’ultima cena e un sorridente bodybuilder, vagamente somigliante a Warhol. Qui si innesca un cortocircuito tra l’esperienza dell’artista, che negli ultimi anni aveva iniziato a essere seguito da un personal trainer, e la figura di Cristo nell’atto di istituire l’Eucaristia. Così la frase del titolo «Sii qualcuno con un corpo» diventa una doppia preghiera, a se stesso e a Gesù: entrambi non possono restare anime disincarnate.

Monumentali e maestose sono le tre grandi serigrafie, sempre dedicate al quadro di Milano: quella rosa, quella camouflage e quella rossa. Ma forse l’immagine più sconvolgente è quella offerta da Christ 112 Times, in cui il Gesù di Leonardo viene ripetuto in modo ossessivo 28 volte su quattro ordini. Non è la prima volta che Warhol fa un’operazione simile. Ma qui diventa la maniera di rendere in immagine il modo in cui, certamente da bambino, Warhol era abituato a pregare. Tipica del cristianesimo orientale, infatti, è la giaculatoria: «Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me, peccatore», che si ripete come un mantra decine e decine di volte: Gospodi pomilui.

Dell’ultimo periodo, poi sono anche due piccole opere, che riproducono le scritte: «Repent And Sin No More», (Pentiti e non peccare più), e «Heaven and Hell Are Just One Breath Away» (Paradiso e inferno sono a un respiro di distanza). E un piccolo e commovente Christ $9.98, un Gesù popolare davvero accessibile a tutti.

Se qualcuno avesse chiesto a Warhol perché dipingesse quei soggetti, si sarebbe limitato a un laconico: «Perché mi piacciono». Eppure il suo apparente distacco dalle cose e dai loro significati sembra essere contraddetto da una frase carpita da Pierre Restany, grande critico francese, che presenziò all’inaugurazione della mostra di Milano. «Fui sorpreso da quanto Andy mi disse quel giorno: “Pierre, pensi che gli italiani vedranno il rispetto che ho per Leonardo?», racconta il critico: «Consciamente o no, Warhol mi sembra aver agito come uno che ha cura di un capolavoro della cultura cristiana, preoccupato di continuare una tradizione di cui si sente parte».

A LONDRA PER GUARDARE DAVVERO LEONARDOIN LONDON FOR A REAL LOOK AT LEONARDO

Settimana scorsa sono stato un giorno a Londra con Robe da Chiodi e Davide per vedere la mostra di Leonardo alla National Gallery, Kiefer da White Cube e rivedere Richter alla Tate.

Sulla mostra di Leonardo ha già scritto bene Robe da Chiodi e io non saprei aggiungere altro. Ecco, forse aggiungerei un grazie ad Arturo Galansino, uno dei curatori della mostra, che ha avuto la pazienza di accompagnarci tra le sale. Una delle cose più interessanti che ci ha raccontato è stata la pressione “politica” che talvolta ha percepito riguardo alcune opere che doveva schedare. Un aggettivo o un avverbio che metta in dubbio un’attribuzione a Leonardo può costare milioni di euro. Dico poi una cosa molto banale: al di là di tutti i difetti che può avere, una mostra del genere (irripetibile, probabilmente) costringe a mettere alla prova il pregiudizio positivo che si ha verso il genio di Leonardo. O meglio: riempire il pregiudizio positivo che ci portiamo dietro con un contenuto non frammentario. È facile infatti accostarsi a questi quadri sapendo già che sono capolavori, altra cosa è guardarli davvero lasciandosi stupire dalla loro – oggettiva – bellezza.

Leonardo, Study of clasped hands, seen so that the back of the right hand, National Gallery, 2011
Leonardo, Study of clasped hands, seen so that the back of the right hand
Leonardo, Study of a childs shoulders, seen from behind, about 1495, National Gallery, 2011
Leonardo, Study of a childs shoulders, seen from behind, about 1495

Leonardo, A right foot seen from above, about 1495, National Gallery, 2011
Leonardo, A right foot seen from above, about 1495
Last week I was one day in London with Robe da Chiodi  and Davide to see Leonardo at the National Gallery,  Kiefer at White Cube and to see againg  Richter at Tate Modern.

On the exhibition of Leonardo Robe da Chiodi has already written and I can not say more. Here, perhaps, I would thank Arturo Galansino, one of the curators of the exhibition, which has had the patience to accompany us through the halls. One of the most interesting things he told us was the “politics” pressure that sometimes he felt writing about some works. An adjective or adverb that puts into question an attribution to Leonardo can cost millions of euros. Then I say something very trivial: beyond all the defects that may have an exhibition of its kind (unique, probably), it forces us to test our positive prejudice towards the genius of Leonardo. Or rather, it forces us to fill the positive prejudice that we carry with us with a unfragmented content. It is easy to approach these paintings already knowing they are masterpieces, different is really watching them and being amazed by their surprising beauty.

Leonardo, Study of clasped hands, seen so that the back of the right hand, National Gallery, 2011
Leonardo, Study of clasped hands, seen so that the back of the right hand
Leonardo, Study of a childs shoulders, seen from behind, about 1495, National Gallery, 2011
Leonardo, Study of a childs shoulders, seen from behind, about 1495

Leonardo, A right foot seen from above, about 1495, National Gallery, 2011
Leonardo, A right foot seen from above, about 1495

LEONARDO E L’IMMACOLATA SECONDO ALESSANDRO BALLARINTHE TRUE STORY OF THE VIRGIN OF THE ROCKS

Nel numero di novembre della rivista Tracce, ho scritto questo articolo sulla grande mostra su Leonardo pittore in corso alla National Gallery di Londra.

The Virgin of the Rocks, Musée du Louvre, Paris
The Virgin of the Rocks, Musée du Louvre, Paris

Una mostra solo di quadri di Leonardo da Vinci non l’avete mai vista. Perché? Semplice: negli ultimi settant’anni nessuno è mai riuscito a farla. Ce l’ha fatta quest’anno la National Gallery di Londra che fino al 5 febbraio propone una retrospettiva sugli anni milanesi del genio italiano intitolata “Leonardo da Vinci, pittore alla corte di Milano”. I presititi sono da capogiro, tanto che per la prima volta nella storia verrranno esposte insieme le due versioni della “Vergine delle rocce”, quella del museo londinese e quella del Louvre. Un evento come quello di Londra sarebbe stato l’occasione per fare un punto sullo stato della ricerca su uno degli snodi decisivi della storia dell’arte del Rinascimento. A ridosso della mostra, tuttavia, uno dei maggiori studiosi di Leonardo, il professore padovano Alessandro Ballarin, ha pubblicato un’opera monumentale (quattro volumi per un totale di 1392 pagine di testo e altre 1389 di immagini a colori e in bianco e nero) intitolata, guarda caso, proprio “Leonardo a Milano”. Ballarin ha lavorato a quest’opera negli ultimi quindici anni riscandagliando i pochi documenti a disposizione degli storici e proponendo nuovi scenari e soluzioni a molti problemi che restano ancora aperti, ma soprattutto proponendo interpretazioni di opere con le quali nessuno aveva mai osato confrontarsi. L’esempio delle due versioni della “Vergine delle rocce”, sui cui ruota tutta la mostra di Londra, è emblematico. Ballarin non concorda affatto con quanto i curatori inglesi sostengono sulla storia delle due opere e propone una lettura assolutamente inedita del loro significato.
Secondo la mostra di Londra la “Vergine delle rocce” conservata al Louvre è stata la prima ad essere realizzata. Dipinta tra il 1483 e il 1486 e sarebbe stata dipinta per la cappella della Confraternita dell’immacolata concezione nella chiesa francescana di San Francesco Grande (nei pressi dell’attuale università Cattolica e abbattuta agli inizi dell’800). Dopo una controversia sui pagamenti, Leonardo avrebbe venduto questa versione e successivamente realizzato quella della National Gallery attorno al 1490 per sotituire la prima nella cappella della confraternita. Leonardo ricorre al tribunale di Milano perché la Confraternita francescana non avrebbe finito di pagare l’opera. Secondo i documenti dell’epoca la confraternita, da parte sua, sosteneva che il pagamento non era stato completato dal momento che l’opera non era considerata finita. Ma se le cose stessero così, come avrebbe fatto Leonardo a rivendere un’opera non terminata? E poi: se la seconda versione avrebbe dovuto sostituire la prima nella complessa ancona di San Francesco, perché le due tavole hanno misure diverse? Infine: perché l’artista avrebbe deciso di modificare la composizione della seconda versione anziché farne una replica fedele?

The Virgin of the Rocks, National Gallery, London
The Virgin of the Rocks, National Gallery, London

Ballarin dice: la prima tavola, quella del Louvre, non fu affatto realizzata per San Francesco, ma si tratta di un’opera dipinta nei primi anni del suo soggiorno milanese. Si tratterebbe di un “biglietto da visita” per il suo nuovo signore, Ludovico il Moro, pensato per l’abside della cappella palatina di San Gottardo in Corte, la chiesa che ancora oggi si trova dietro al Palazzo reale a Milano. Questa chiesa era stata costruita dallo zio del Moro, Azzone Visconti, e la sua struttura originale replicava, nell’abside, la pianta ottagonale del battistero di San Giovanni ad Fontes (quello maschile, dove Ambrogio aveva battezzato Agostino) e che era stato sacrificato per il cantiere del nuovo Duomo. Sembra quindi che nelle intenzioni di Azzone San Gottardo doveva diventare una nuova “ecclesia fontis”. Contemporaneamente, però, la chiesa era anche dedicata all’Immacolata Concezione, culto che era stato diffuso in Italia e in particolare a Milano dai francescani. Una pala d’altare per quella chiesa avrebbe quindi dovuto far convivere il tema del battesimo di Gesù e quello dell’Immacolata. E, a ben vedere, la “Vergine delle rocce” del Louvre sembra essere in grado di rispondere a questa difficile esigenza.
Leonardo, infatti, sceglie di partire da antiche tradizioni apocrife sulla vita del Battista che raccontavano che al ritorno dall’Egitto, Gesù e la Madonna si fossero recati a trovare il cugino Giovanni il quale invece aveva trovato rifugio dalla persecuzione di Erode in una grotta, che si era aperta miracolosamente dopo le preghiere di Elisabetta. Era una grotta che permetteva di vedere all’esterno senza esser visti: infatti nel quadro di Leonardo si scorge il magnifico paesaggio in cui scorre il Giordano. In quell’occasione, dicono gli apocrifi, Gesù rivela a San Giovannino il destino di entrambi. L’angelo a destra trattiene Gesù sul ciglio di una pozza d’acqua e, allo stesso tempo, volgendosi verso di noi attira la nostra attenzione con il dito puntato verso il Battista il quale è abbracciato dalla Vergine. Dice Ballarin: «Sul primo piano la pozza allude alla fons, alla vasca battesimale, alla promessa del battesimo di Cristo nelle acque del Giordano; la mano della Vergine è sollevata sopra la testa del figlio in segno di protezione al destino della passione del figlio. (…) La Vergine è colei che adotta il Precursore del figlio, ma è anche colei che teme per le sorti del figlio, che vive, nell’incontro dei due piccoli, la premonizione della passione del figlio, grazie alla quale la salvezza sarà restituita al mondo. Ella presiede all’incontro, lo patrocina; ella conosce il disegno divino, anzi ne è lo strumento; ella è colei che sa. Voglio dire che in questo quadro alla Vergine viene assegnato un ruolo centrale nel compiersi del disegno divino, nella redenzione dell’umanità attraverso l’incarnazione ed il sacrificio di Cristo».
Nulla di simile si era ancora visto: non a Firenze, e neppure a Milano. Un’immagine del genere ha una coloritura tutta francescana, impensabile senza tener conto della nuova sensibilità per il culto mariano frutto dell’accesissimo dibattito che i frati minori, guidati da Francesco della Rovere, generale dell’ordine e poi papa con il nome di Sisto IV, conducono contro i domenicani per l’affermazione della dottrina del concepimento immacolato della Vergine. E proprio Milano era uno dei fronti più accesi di tale disputa. Dice ancora Ballarin: «Si potrebbe dire che Leonardo ha inteso significare il concepimento immacolato della Vergine, la sua natura di creatura immacolata concetta, attraverso il ruolo che Dio le ha dato di corredentrice: quello che i teologi francescani di oggi direbbero il privilegio della corredenzione, cioè della cooperazione della Vergine nell’opera salvifica di Cristo, come prova del suo essere stata concepita senza peccato originale».
Solo cogliendo queste implicazioni teologiche possiamo comprendere l’interesse dei francescani milanesi per un tipo di immagine come quella del Louvre. È così molto probabile che colta la genialità della prima “Vergine delle rocce” – che a noi oggi appare sfumata perché non più partecipi della sensibilità dei contemporanei di Leonardo – la Confraternita dell’Immacolata Concezione abbia deciso di commissionare a Leonardo una nuova immagine che, partendo dalla struttura della prima, si concentrasse solo sul tema che stava loro a cuore. A quel punto a Leonardo non rimane che emendare la prima e acrobatica ingegneria iconografica dai riferimenti diretti al tema del battesimo. Nella tavola conservata alla National Gallery, dunque, non vengono riprodotti la pozza d’acqua in primo piano e il dito dell’angelo che indica San Giovannino. Gesù, il Battista, l’angelo e la Vergine qui formano una sorta di piramide che ha il suo fulcro proprio nella figura di Maria, imponente e matura, diversa dalla giovinetta fragile della prima versione. «Quella Vergine di Leonardo – scrive Ballarin – determinata nei gesti, sicura del proprio agire, ma fragile nei sentimenti, è veramente l’annunzio, il battesimo, di una nuova èra mariologica, aperta, in modi e tempi diversi, da due francescani, Giovanni Duns Scoto e Francesco Della Rovere». Lo studioso padovano arriva a dire che se il Medioevo è stato un periodo cristologico, soprattuto nei secoli XIII e XIV, la prima parte del Rinascimento è stata tutta per la Madonna. Forse, anche se furono anni difficili, Maria andava ad assumere un ruolo sempre più importante come madre del popolo cristiano.

Luca Fiore

This article has been published in Traces

The Virgin of the Rocks, Musée du Louvre, Paris
The Virgin of the Rocks, Musée du Louvre, Paris

You have never seen an exhibition with only pictures by Leonardo da Vinci. Why? It’s simple. In the past 70 years, no one has managed to organize one. This year, London’s National Gallery has managed it. From November 9th to February 5th, it proposes a review of the Italian genius’ Milanese years, entitled, “Leonardo da Vinci: Painter at the Court of Milan.” The list of loans is breathtaking. The two versions of Leonardo’s Virgin of the Rocks, belonging to the National Gallery and the Louvre, are shown together for the first time. An event of this kind could be the occasion for an update on the research on one of the crucial nodes of the history of Renaissance art. Alongside the exhibition, one of the greatest experts on Leonardo, Professor Alessandro Ballarin, from Padua, has published a monumental work (four volumes–1, 392 pages of text and 1, 389 pages of photographs) entitled, “Leonardo in Milan.” Ballarin worked on this book over the past 15 years, sifting through the few documents available to historians and proposing new scenarios and solutions to many questions still open but, above all, proposing interpretations of works that no one up to now dared to analyze. The example of the two versions of the Virgin of the Rocks, around which the whole London exhibition gravitates, is emblematic. Ballarin is not in fact in agreement with what the curators of the English exhibition maintain about the history of the two works and proposes a totally new interpretation.
According to the London experts, the version of the Virgin of the Rocks preserved in the Louvre was the first to be made. Painted between 1483 and 1486, in their view it was painted for the oratory of the Confraternity of the Immaculate Conception in the Franciscan church of San Francesco in Milan (near what is now the Catholic University, and demolished in the early 1800s). After an argument over payment, Leonardo is said to have sold this version and successively (around 1490) painted what is now in the National Gallery to replace that in the oratory of the Confraternity. Leonardo had recourse to the Milan Tribunal claiming that the Confraternity had not finalized payment for the work. According to the documents of the time, the Confraternity maintained that payment was not finalized because the work was not considered completed. But if this were the case, how could Leonardo have sold an unfinished work? And then, if the second version was to replace the first in the complex altarpiece of San Francesco, why are the two panels of different sizes? Lastly, why would the artist have decided to alter the composition of the second version instead of making an exact copy?

The Virgin of the Rocks, National Gallery, London
The Virgin of the Rocks, National Gallery, London

The well and the fons. Ballarin says, “The first panel, that of the Louvre, was not in fact painted for San Francesco, but is a work painted during the first years of his sojourn in Milan. It would have been a ‘calling card’ for his new patron, Ludovico il Moro, destined for the apse in the palatine chapel of San Gottardo in Corte, the church that can still be found behind Milan’s Palazzo Reale. This church had been built by Ludovico’s uncle, Azzone Visconti, and its original structure was a replica, in the apse, of the octagonal plan of the baptistery of San Giovanni ad Fontes (for males, where Ambrose baptized Augustine) and had been sacrificed for the building of the new Duomo. It would seem, then, that Azzone’s intention was for San Gottardo to become a new Ecclesia Fontis.”
At the same time, though, the Church was dedicated to the Immaculate Conception, a cult spread in Italy and particularly in Milan by the Franciscans. An altarpiece for that church would therefore have been required to combine the theme of the Immaculate Conception with that of the Baptism of Jesus. The Louvre version of the Virgin of the Rocks would therefore correspond to these complex requirements.
As it was, Leonardo chose to begin from ancient apocryphal prophecies about the life of the Baptist, which tell that, on their return from Egypt, Jesus and Our Lady went to see their cousin, John, who had taken refuge from Herod’s persecution in a cave that opened miraculously thanks to the prayers of Elizabeth. It was a cave that allowed those inside to see out without being seen. In fact, in Leonardo’s painting we get a glimpse of the countryside with the Jordan passing though. The apocryphal stories say that on that occasion, Jesus revealed to John both their destinies. The angel holds Jesus near the edge of a well and, at the same time, looking towards us, guides our attention with his finger pointed towards the Baptist who is embraced by the Virgin. Ballarin says, “In the foreground, the well alludes to the fons, to the baptismal font, to the promise of the Baptism of Christ in the waters of the Jordan; the Virgin’s hand is raised above her Son’s head as a sign of protection in His destiny of the Passion. …The Virgin is she who adopts her Son’s precursor, but also she who fears for the fate of her Son, and who lives, in the meeting of the two children, the premonition of her Son’s Passion, thanks to which salvation will be restored to the world. She presides over the meeting, promotes it; she knows the divine plan, she is its instrument; she is she who knows. I want to say that in this painting, the Virgin is assigned a central role in the fulfilling of the divine plan, in the redemption of mankind through the incarnation and the sacrifice of Christ.”

The dispute. Nothing of its kind had been seen before–not in Florence, nor in Milan. This image has a coloring wholly Franciscan, unthinkable without taking into account the new sensitivity for the Marian cult, fruit of the intense dispute between the Friars Minor–led by Francesco della Rovere, General of the order and later Pope by the name of Sixtus IV–and the Dominicans, so as to affirm the doctrine of the Immaculate Conception of Our Lady. Milan was one of the hot spots in this dispute. Once again, Ballarin says, “We could say that Leonardo intended to mean the Immaculate Conception of the Virgin, her nature as a creature conceived immaculately, through the role God gave her of Co-redemptrix–what today’s Franciscan theologians would call the privilege of co-redemption, that is, of the Virgin’s cooperation in Christ’s salvific work, as the proof of her being conceived without original sin.”
Only if we grasp these theological implications can we understand the interest of the Milanese Franciscans in an image like that of the Louvre. Thus, it is highly probable that, having grasped the genius of the first Virgin of the Rocks–which for us today seems obscure because we no longer share the sensitivity of Leonardo’s contemporaries–the Confraternity of the Immaculate Conception decided to commission from Leonardo a new painting that, starting off from the structure of the first would concentrate only on the theme they had at heart. At that point, all Leonardo had to do was to purge that first, acrobatic iconographic engineering of direct references to the theme of Baptism. In the panel preserved at the National Gallery, therefore, there is no trace of the well in the foreground, or the angel’s finger pointing to St. John. Jesus, the Baptist, the angel, and the Virgin here form a sort of pyramid that has its fulcrum in the figure of Mary, imposing and mature, different from the frail little girl of the first version. “The Virgin of Leonardo,” writes Ballarin, “determined in her gestures, sure of her own action, but frail in her feelings, is truly the announcement, the Baptism, of a new era in Mariology, opened, in different ways and times, by two Franciscans, John Duns Scotus and Francesco Della Rovere.” The Paduan scholar goes as far as to say that if the Middle Ages was a Christological period, above all in the 13th and 14th centuries, then the first part of the Renaissance was all for Our Lady. Perhaps, even though they were difficult years, Mary went to take up a more and more significant role as Mother of the Christian People.

Luca Fiore